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riconosciamo che l'impatto terapeutico delle interpretazioni
analitiche è determinato non solo dagli insight che esse veicolano,
ma anche dall'estensione in cui esse dimostrano la sintonizzazione
dell'analista con la vita affettiva del paziente. Ho a lungo sostenuto
che una buona interpretazione (cioè mutativa) è un processo
relazionale, costituente centrale del quale è rappresentato
dall'esperienza del paziente di sentire compresi i propri sentimenti
(Stolorow, Atwood, e Ross, 1978). Inoltre è lo specifico significato
del transfert dell'esperienza di essere compreso che fornisce il
potere mutativo (Stolorow,1993), per come il paziente inserisce
questa esperienza nella trama dei desideri evolutivi mobilitati
dall'impegno analitico. L'interpretazione non si trova separata dalla
relazione emotiva tra paziente e analista; secondo me è una
dimensione inseparabile e cruciale di questa relazione. Nel
linguaggio della teoria dei sistemi intersoggettivi, un allargamento
interpretativo della capacità del paziente di consapevolezza
riflessiva dei principi organizzatori vecchi e ripetitivi, accade
parallelamente all'impatto affettivo e ai significati delle continue
esperienze relazionali con l'analista, e sono entrambi componenti
indissolubili di un processo terapeutico unitario che stabilisce la
possibilità di principi di organizzare l'esperienza alternativi, di come
gli orizzonti emotivi del paziente possano allargarsi, arricchirsi,
diventare più flessibili e più complessi. Per sostenere questo
processo di sviluppo, il legame analitico deve essere in grado di
sostenere gli stati affettivi dolorosi e minacciosi che possono
accompagnare cicli di destabilizzazione e riorganizzazione.
Chiaramente, un'attenzione clinica sull'esperienza affettiva
all'interno del campo intersoggettivo dell'analisi contestualizza il
processo del cambiamento terapeutico in una molteplicità di modi.