Pagina 117 - Self Rivista - Anno 1 n°3

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Il riduzionismo è la pratica di fare queste riduzioni e di
affermare che niente di importante è stato lasciato fuori. Questa
pratica è riconoscibile dal suo implicito o esplicito “nient’altro che”.
La mente non è nient’altro che il cervello; l’invidia che sento per
l’educazione di alto livello di una paziente non è nient’altro che
un’identificazione proiettiva; la mania e la depressione non sono
nient’altro che squilibri chimici e così via. Qualcosa che è stato
ridotto non ha bisogno di ulteriore spiegazione o comprensione.
Consideriamo per primo un esempio preso dalla pratica
psicoanalitica. La paziente, confusa e al tempo stesso stupita,
esclama: “non so cosa mi succede, ma non mi sono mai sentita
così. Può essere che sia questo che le persone vogliono indendere
quando dicono che si stanno innamorando”. Il suo importante
analista, di solito vissuto come empatico e di sostegno, fornisce una
serie completa di spiegazioni. Sentendo che il nuovo amante è un
uomo alquanto più anziano della paziente, l'analista decide che la
paziente ha raggiunto finalmente lo stadio edipico dello sviluppo e
sta agendo dei desideri infantili. Successivamente, quando la
paziente descrive ulteriormente l’amante, l’analista afferma che si
tratta di una scelta oggettuale sia ripetitiva che riparativa.
Quando la paziente, in seguito, non abbandona la relazione,
l’analista dice che la paziente sta cercando di distruggere l’analisi
proiettando l’invidia nell’analista e quindi odiandolo per questo. Una
tale resistenza è una indicazione che la paziente non è ancora
pronta per la posizione depressiva. Inoltre, in ogni modo, l’amore
non è niente altro che idealizzazione, un altro bisogno infantile che
deve essere riconosciuto e al quale bisogna rinunciare. Ognuna di
queste spiegazioni implica “nient’altro che” c’è qualcosa di sbagliato
nella paziente e la paziente, in questo caso sfortunatamente non
ipotetico, si dichiara d’accordo. Ciò che viene perduto o, nei termini