Pagina 118 - Self Rivista - Anno 1 n°3

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di Nagel, lasciato fuori, è l’esperienza della paziente e la possibilità
di espansione e arricchimento del suo mondo esperienziale. Per
coloro, tuttavia, per i quali queste riduzioni sono evidenti e
spiegabili di per sé, la mia protesta può essere vista come una
semplice negazione.
Cosa sta succedendo qui? Sfortunatamente questa è qualcosa
di più che partecipare a giochi linguistici professionali. Se davvero
diciamo ai nostri pazienti parole che riducono oppure no (3), esse
influenzano la nostra esperienza e la nostra comunicazione con i
pazienti. La semplificazione delle esperienze di sé e della
relazionalità a uno svalutante “niente altro che” è un processo
profondamente umiliante che noi implicitamente o esplicitamente
comunichiamo alla persona, la cui esperienza riduciamo ad una
formula. In questo modo, non solo possiamo riconfermare
un’esperienza di sé già negativa, ma addirittura di odio per se
stessa; abbiamo anche molte probabilità di prevenire l’apertura
verso forme più ricche ed alternative di esperienza personale.
Ho il sospetto, ascoltando seminari clinici e presentazioni di
casi, che questa velenosa e implicitamente sprezzante iper-
semplificazione e svalutazione dell’esperienza personale
sfortunatamente resti più comune di quanto la maggior parte di noi
vorrebbe realizzare od ammettere.
Un esempio diffuso e pernicioso è la reificazione dell’aggressività,
sfidata da Kohut, e più recentemente (2000) da Lachmann, il quale
rende esplicita la differenza clinica che un approccio non
riduzionista comporta :
…”le circostanze nelle quali una persona agisce aggressivamente
possono apparire ad un osservatore non provocatorie (e sostenere
una visione dell’aggressività come una cosa in sé), ma quando sono