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comprese dall’interno della prospettiva di quella persona o entro la
sua esperienza soggettiva, possiamo delineare il contesto per
l’attacco. Questo punto di vista sull’aggressività non scusa l’attacco
in senso normativo, ma lo rende comprensibile in senso psicologico.
Il trattamento psicoanalitico mette allora a fuoco il contesto nel
quale l’aggressività viene evocata e la ferita, la deprivazione e/o la
frustrazione alla quale essa è reattiva” (pag.2).
La propensione a reagire è una proprietà emergente nei
sistemi relazionali- passato, presente e futuro immaginato. Altrove
(2001) ho scritto sulla inclusività delle parole nei discorsi e nelle
tradizioni dalle quali sono nate e si sono sviluppate. Molto del
linguaggio psicoanalitico appartiene ai discorsi, o giochi linguistici,
che implicano assunti filosofici che la maggior parte degli analisti
post-Freudiani, relazionali e post-Cartesiani non intendono più
accettare. Termini come transfert, identificazione proiettiva,
rappresentazione, per quanto accuratamente ridefiniti per i
propositi contemporanei, non possono sfuggire alla storia e al peso
della connotazione. Ho proposto che i pensatori e i praticanti
psicoanalitici rimangano aperti a interrogarsi ed a venire interrogati
sul nostro uso delle parole, sul loro impatto sui nostri atteggiamenti
verso i pazienti e sulle nostre responsabilità per gli assunti ricusati
a proposito della natura umana e della realtà.
Qui, tuttavia, Il mio proposito è diverso. Avendo notato alcune,
presumibilmente comuni, manifestazioni riduttive nella pratica
psicoanalitica, e presumendo che i lettori possano aggiungere ed
elaborare i loro propri esempi, esaminiamo ora ciò che potrei
chiamare “il nuovo riduttivismo” nella teorizzazione psicoanalitica e
nella filosofia contemporanee. In questo caso non solo parole ma