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Computazionale), e quindi questa filosofia della mente diviene per
lui un’ottica processuale. (Fodor ha recentemente [2000] messo in
discussione la propria CP e quella di altri per il fatto che
affermerebbero di spiegare troppo e la vede come una sotto-teoria
di qualche teoria generale da sviluppare successivamente. Fodor
afferma una discendenza diretta da Hume, il quale “insegnava che
gli stati mentali sono relazioni con le rappresentazioni mentali”. Allo
stesso modo di Turing, Fodor sostiene che “una computazione è
una specie di contenuto che rispetta la relazione causale tra i
simboli”(1998,pag.11). Ma, come egli riconosce, il simbolo stesso
deve avere quindi una sorta di irriducibilità e non può essere il
risultato di una computazione. In altre parole, il simbolo è qualcosa
di semplice e modulare. La sua irriducibilità deriva dal suo status di
rappresentazione (contenuto mentale) direttamente impressa sullo
stato mentale vuoto dell’empirista mediante la sensazione. Ciò che
è qui irriducibile è costituito dai pezzetti di contenuto mentale.
Sull’altra sponda, rispetto a questo argomento, sono “gli olisti del
significato”, per i quali la complessità è irriducibile, il processo è
sempre primario e sistemico e ciò che viene compreso non è una
copia di qualche cosa.
In psicoanalisi, si verifica una crescente influenza della scienza
cognitiva, delle reti neurali e di altre forme di riduzionismo causale,
rappresentato in modo preminente da Allan Shore (1997, 2001) e
Wilma Bucci (1997). Secondo questi modi di vedere, comprensibili
se visti nell’ambito della ricerca secolare di una teoria generale di
ogni cosa, la psicoanalisi avrebbe bisogno di incorporare, in qualche
modo, i risultati della neurobiologia, presumibilmente per
mantenere o ristabilire la sua rispettabilità scientifica. Nelle parole
di Shore “Ogni teoria contemporanea deve essere compatibile con
questa conoscenza” (2001, pag.12). Oppure, in maniera più