Pagina 128 - Self Rivista - Anno 1 n°3

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ritorno, sia al riduzionismo del giovane Freud, il quale idealizzava
“le scienze dure” e le vedeva come un tipo di conoscenza che vale
la pena di avere, sia all’oggettivismo del positivismo logico, il
mondo della verifica e della conferma, un altro prodotto della
Vienna di Freud. Per gli scienziati cognitivi questo ritorno è
eccitante; per me è una perdita che minaccia la nostra pratica
infiltrandosi nei nostri atteggiamenti e predisponendoci a diversi
riduzionismi clinici.
Il relativismo narrativo
L’antidoto ovvio a questi riduzionismi è il relativismo narrativo
(6), spesso conosciuto come postmodernismo o costruttivismo.
Naturalmente questo antidoto è stato costruito prima del risorgere
dell’oggettivismo sotto forma di scienza cognitiva. Disgustati dalla
riduzione degli esseri umani ad oggetti da parte dei regimi totalitari
e dalle filosofie totalizzanti , come quella di Hegel e Heidegger
[Richard Bernstein (1992) parla della “rabbia contro la ragione”], la
filosofia continentale, particolarmente nel lavoro di Martin Buber,
Maurice Merleau-Ponty, Gabriel Marcel, Paul Ricoer ed Emmanuel
Levinas, è ritornata al problema della soggettività e alle sue
relazioni col significato. Il rifiuto della oggettivazione totalizzante e
del riduttivismo reificante (conosciuto anche come essenzialismo)
era diventato così forte che pensatori francesi come Foucalt,
Derrida e Lyotard hanno proposto la decostruzione di tutte la
categorie e concetti, spesso viste come narrative storicamente
condizionate e mantenute culturalmente, che non hanno un valore
intrinseco o una validità essenziale. Niente era reale; tutto era
fiction. Queste idee, particolarmente utili per mettere in discussione
la soggezione essenziale della donna e di altri gruppi oppressi
(Fuss,1989) divennero anche una base dalla quale discutere idee e