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costruzione. Il discorso della costruzione rifiuta la partecipazione
empatica in un sistema intersoggettivo e descrive invece il lavoro
analitico come se fosse possibile una prospettiva esterna, o punto
di vista dell'occhio di Dio.
In alternativa, tuttavia, abbiamo l’idea dell’interpretazione e del
processo interpretativo. Questa idea, molto più antica dell’uso di
essa da parte di Freud per portare il paziente a vivere secondo il
principio di realtà, suggerisce che vi è già qualcosa da interpretare
o da costruire. Questo qualcosa può prestarsi al gioco dialogico che
può aprire nuove possibilità. Il lavoro interpretativo, creando nel
paziente la sensazione di partecipare ad un processo nel quale
viene profondamente compreso, può essere di per sé curativo. Non
ci sarebbe bisogno di richiamarsi a metafore grandiose come creare
o costruire. C’è veramente una grande distanza, dal punto di vista
epistemologico, tra affermare di lavorare insieme per capire e
aprire il mondo esperienziale di una persona, e affermare di
costruire ogni cosa. Dal caos (7) delle nostre vite noi organizziamo
e riorganizziamo mondi esperienziali di significato; noi non creiamo
da zero.
Ironicamente, sia l’oggettivismo che il postmodernismo possono
essere egualmente riduzionistici e indurre vergogna (8) nei
pazienti. Entrambi implicano che il paziente è difettoso e cattivo,
senza considerare il contenuto, la qualità o i significati
dell’esperienza in questione. Per l’oggettivista c’è semplicemente
qualcosa di sbagliato in una paziente: è ossessiva, idealizzante,
immatura, edipica, proiettiva o borderline, per non dire bipolare o
schizofrenica (Atwood, Orange e coll. 2001). La paziente ha reti
neurali mal-predisposte oppure cattive connessioni o false
rappresentazioni. Per il postmodernista la paziente diventa la
costruttrice o co-costruttrice di una narrativa problematica, di solito