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una narrativa che ricusa la responsabilità della paziente per la
propria sofferenza e i propri disturbi relazionali.
Un’alternativa: il realismo prospettivista
Il realismo prospettivista è il termine che ho proposto (Orange,
1992; 1995) come alternativa a queste due forme di riduzionismo.
Ho considerato verità e significati come emergenti dalla
conversazione tra persone, con punti di vista, storie personali,
background e preconcetti, mondi esperienziali, genuinamente e
irriducibilmente diversi: in breve, tra due o più soggettività. Voglio
dire che la conversazione include in senso lato sia il contenuto che
la forma, e comprende i gesti (Mead, 1934), il ritmo e altre qualità
musicali (Knoblauch, 2000), il contatto dello sguardo e molto di ciò
che oggi sarebbe chiamato “conoscenza relazionale implicita”
(Stern, Sander e al. 1998). Originariamente (Orange,
La
comprensione emotiva
,1995, p.61-62) ho articolato questa
concezione così:
Ogni partecipante alla ricerca ha una prospettiva che dà accesso
a una parte o a un aspetto della realtà. È possibile un numero
infinito, o almeno indefinito, di tali prospettive (Hoffman, 1983
applica un prospettivismo di questo tipo al transfert e al
controtransfert). Dato che nessuno di noi può sfuggire del tutto ai
confini della propria prospettiva personale, la visione della verità
che abbiamo è necessariamente parziale, ma la conversazione
può aumentare il nostro accesso al tutto. … il realismo
prospettivista riconosce che la sola verità o realtà a cui la
psicoanalisi dà accesso è l’organizzazione soggettiva
dell’esperienza per come viene capita in un contesto
intersoggettivo (Stolorow et al., 1987). Allo stesso tempo, una