Pagina 134 - Self Rivista - Anno 1 n°3

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comprensione rivolto al significato che, da psicoanalisti, abbiamo
abbracciato come lavoro per la vita.
Il realismo prospettivista non è un’idea originale. Esso ha radici
estese in filosofia ed è condiviso implicitamente da molti
psicoanalisti, i quali stanno attualmente formulando i vari sensi
della sua ampia rilevanza clinica.
La questione delle radici filosofiche deve essere affrontata con
cura. Nietzsche è il filosofo più associato con il prospettivismo
radicale. Le sue invettive contro ciò che egli vedeva come gli
assoluti del razionalismo illuminista lo condussero a sostenere la
rivalutazione di tutti i valori che trascendono il bene e il male e
glorificano l’irrazionalità. Per lui, e anche più per i suoi ammiratori
post-moderni, “costruttivisti” e “neo-pragmatisti”, non c’è altro che
la prospettiva (9).
Le mie fonti di influenze personali, al contrario, includono i primi
fenomenologi, come Brentano e Husserl, per i quali una prospettiva
significa sempre una prospettiva su qualcosa (intenzionalità). Non
c’è “una visione da nessun luogo” (Nagel, 1986), ma nemmeno c’è
una prospettiva senza qualcosa sulla quale avere un punto di vista.
In aggiunta, per il mio realismo pragmatico, mi sento in debito col
filosofo americano Charles Sanders Peirce. Il fallibilismo di Peirce
esprime l’atteggiamento secondo il quale c’è sempre qualcosa di più
da imparare, che la nostra prospettiva è limitata, e quindi sbagliata,
se noi la prendiamo come se fosse l’intera verità. I sostenitori della
comprensione dialogica e della prassi comunicativa - Gadamer e
Habermas, rispettivamente - rappresentano ulteriori fonti di
influenze su di me.
Più recentemente ho trovato ulteriore ispirazione per il mio realismo
prospettivista nella concezione terapeutica della filosofia in
Wittgenstein. Consideriamo queste influenze una alla volta.