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sua sfida all’esclusione razziale e alla cecità nella psicoanalisi
americana. Voci e prospettive assenti dalla conversazione riducono
il nostro accesso ad aspetti importanti delle realtà e delle verità
personali.
Infine, leggere Wittgenstein ha confermato la mia sensazione che
i problemi della verità e del significato siano distinti in maniera
importante. Ammettendo che i significati possano esistere soltanto
entro una cultura, un gioco linguistico o una forma di vita,
possiamo ancora fare domande sulla verità.
Un gioco linguistico, per Wittgenstein, è un’attività guidata da
regole simili al gioco degli scacchi, nel quale i significati delle parole
nascono dal loro uso nel gioco. Non c’è significato-in-sé. Tutte le
parole e le mosse del gioco sono prive di significato
indipendentemente dal sistema. C’è una pluralità irriducibile di
questi giochi linguistici, ma il nostro fallimento nel distinguerli l’uno
dall’altro, per esempio mescolando problemi quotidiani e problemi
filosofici, conduce a interminabili confusioni e incomprensioni. Per
Wittgenstein, il compito del filosofo è indicare queste trappole.
Il contestualismo di Wittgenstein non è equivalente allo
scetticismo “non conosco nulla” dei post-modernisti. Se stiamo
giocando a scacchi, possiamo identificare nel gioco la posizione
esatta del re. È qualcosa di vero dire che il re è in un determinato
posto. Se stiamo facendo psicoanalisi, possiamo in modo simile
distinguere i problemi di significato da quelli di verità. Le questioni
di significato sorgono nel campo creato dall’intergioco dei mondi
soggettivi dell’analista e del paziente, ivi incluse le teorie
dell’analista. Essi sorgono anche come conseguenza dell’inevitabile
differenza di prospettive tra i due.
Consideriamo, per esempio, l’onorario, una caratteristica nella
maggior parte delle psicoanalisi. Il suo significato differisce a