Pagina 140 - Self Rivista - Anno 1 n°3

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Il mio rifiuto del riduzionismo, sia filosofico che psicoanalitico, non
dovrebbe però essere scambiato con l’affermazione che le scienze
empiriche non hanno niente da offrire alle scienze umane. Studiare
il lavoro dei ricercatori sulla prima infanzia, dei ricercatori
sull’attaccamento e dei teorici dei sistemi evolutivi, per esempio,
può significativamente ampliare i contesti della comprensione per lo
psicoanalista al lavoro, dando il contributo di un’altra prospettiva.
La consapevolezza del razzismo e di altre forme di bigotteria
possono sintonizzare il nostro orecchio clinico e prepararci a
incontrare l’altro come un altro genuino entro il sistema che
formiamo insieme, riconoscendo che i nostri pregiudizi costituiscono
aspetti del sistema relazionale. Tenere presenti le scienze
empiriche, tuttavia, non equivale all’affermazione che la psicoanalisi
deve “essere” una scienza empirica, o anche che le sue “scoperte”
devono corrispondere a quelle di alcune discipline, ritenute più
eleganti e parsimoniose, ma dai cui obiettivi semplicemente
differiscono. La psicoanalisi è il suo stesso gioco linguistico, discorso
e forma di vita. Essa è una conversazione umana sul significato,
con il proposito di riorganizzare i mondi esperienziali disturbati.
Essa non è equivalente a un numero di immagini di TAC cerebrali,
allo stesso modo che il mio computer, hardware e software
combinati, non è equivalente alle lettere d’amore che posso scrivere
su di esso.
Sì, Guglielmo di Ockham, la pluralità dovrebbe essere posta solo
quando è necessario, ma la semplicità dovrebbe essere posta
quando non ci sono differenze importanti da rispettare anche in
prospettiva.