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sono viste come se si portassero addosso una vulnerabilitá speciale
o perfino una predisposizione considerata come fattore
determinante nella genesi dell’annichilimento personale. Il
problema di questa idea è che essa rappresenta un ritorno al
pensiero oggettivista e cartesiano, all’interno del quale i fattori
localizzati “dentro” un individuo - nella sua mente o nel suo cervello
- divengono cause operative nell’evolversi degli stati soggettivi.
Abbiamo quindi il quadro di una mente isolata, che contiene
vulnerabilità ed emotività predisposte, che crolla di fronte a
pressioni esterne oggettive di qualche tipo. In una cornice di
comprensione intersoggettiva, non ci sono vulnerabilià del tutto
isolabili che esistono all’interno di qualcuno, poiché quello che
appare o che non appare come una vulnerabilitá si materializza solo
entro specifici campi intersoggettivi.
Immaginate una paziente che sente di non essere presente, di
non esistere, e di non avere sé. Immaginate inoltre che qualcuno
che non è abituato a gestire situazioni come queste le chieda:
“Come stai oggi?” L’uso del pronome personale “tu” suggerisce alla
paziente un livello di esistenza di cui non ha esperienza, aprendosi
di conseguenza un abisso di incomprensioni e non validazioni tra lei
e l’interlocutore. Forse la paziente risponderà: “Un miliardo di anni
luce”, esprimendo quanto si senta lontana dall’interlocutore, in
considerazione della semplice ipotesi che era stata formulata, e per
cui esiste un “tu” verso il quale la richiesta sarebbe comprensibile,
un “tu” che potrebbe dare notizie su come essa si senta in quel
momento. Forse la paziente vive anche un’invasione e
un’usurpazione da parte delle supposizioni ingiustificate
dell’interlocutore, e inizia a parlare di una macchina che invia dei
raggi al centro del proprio cervello, per dare forma e sostanza a
questo profondo annichilimento. Dal punto di vista