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questo stato psicologico, vi sono caratteristiche come l’euforia non
realistica, l’accelerazione del pensiero, i progetti, i piani grandiosi e
stravaganti, l’ipersessualità, l’irritabililità estrema e l’insensibilitá
verso i bisogni e i sentimenti degli altri. L’applicazione di questi
criteri all’interno della cornice cartesiana, rimanda a concetti
normativi sulla salute mutuati dall’esterno e ostacola
inevitabilmente l’esplorazione della mania vista attraverso il mondo
esperienziale del paziente. La visione psicoanalitica della mania
considerata come alterazione del tono dell’umore che trae origine
esclusivamente da dinamiche intrapsichiche contribuisce inoltre a
non farci prendere in considerazione il contesto relazionale in cui si
inscrive questo stato soggettivo. Di conseguenza nel momento in
cui per questo problema si utilizza un orientamento cartesiano,
possiamo porci due domande. Primo, quali sono le caratteristiche
della mania quando questa viene esaminata da una prospettiva che
cerca di avvicinarsi il più possibile a come essa venga sentita?
Secondo, quale é la configurazione del campo intersoggettivo
caratteristicamente connessa con l’insorgere di episodi maniacali?
Affronteremo queste domande guidati dalle fondamentali intuizioni
di Brandchaft (1993), rivisitando brevemente alcune esperienze
raccontate in due descrizioni autobiografiche di questo fenomeno:
“
Una brillante follia di Patty Duke”
(Duke & Hochman, 1992) e “
Una
mente inquieta”
di Kay Jamison (1993).
Nel corso di uno dei tanti episodi maniacali avuti dalla Duke
durante i primi anni dell’etá adulta, comparve un potente delirio in
cui agenti di governi stranieri si erano infiltrati nella Casa Bianca a
Washington, D.C. La Duke credeva che questi infiltrati avessero
gradualmente assunto il comando del governo americano. La sua
missione consisteva nel viaggiare in lungo e in largo per tutto il
paese e salvare personalmente la nazione, al fine di estirpare gli