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attraversava le fattezze e cominciava l’abuso sessuale. Durante i
“momenti speciali” si sentiva cancellata, obliterata, trasformata in
una cosa. Un modo di poter sopportare questi momenti mortiferi,
come ricordò anni dopo, era di guardare la luna con l’angolo degli
occhi, perdendosi nella sua superficie illuminata fino a che il padre
non aveva finito. Questo modo di resistere sembra essersi riflesso
successivamente durante il periodo della sua psicosi con una
convinzione delirante persistente secondo la quale la luna era
un’entità cosciente che la seguiva e vegliava su di lei
proteggendola.
La scissione tra l’esperienza diurna e quella notturna della
paziente rispecchiava strettamente una divisione nell’essere del
padre che oscillava anche lui tra due stati nettamente contrastanti:
lo stato in cui era un genitore normale per sua figlia e quello in cui
era un violentatore sessuale lascivo con strane fantasie sull’amore e
sull’antica regalità. Un secondo sogno ricorrente dell’infanzia della
paziente esprimeva la tensione creata da queste due figure paterne
e dai mondi separati in cui esse portavano avanti attività
estremamente diverse. In questo incubo la paziente giaceva
prostrata e priva di abiti sul terreno. In ciascun lato del corpo
c’erano sei o sette piccoli uomini, come elfi o gnomi, e ciascuno di
essi reggeva un pezzo di corda. Alla fine di ciascun pezzo di corda
c’era un gancio inserito nella pelle della paziente. Inizialmente la
linea degli elfi di destra cominciava a tirare le sue corde tirando la
pelle della paziente fino a spostarla tutta verso l’esterno, e poi la
fila dei piccoli uomini di sinistra cominciavano a loro volta a tirare
corde e ganci così che la pelle della paziente veniva tirata
alternativamente prima a destra e poi a sinistra e poi ancora a
destra, e così via fintantochè, alla fine, si svegliava terrorizzata e
confusa.