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soltanto allorché il mondo stesso della normalità cominciò a
disintegrarsi. L’evento specifico che aveva preceduto e scatenato il
crollo della paziente era stata la risposta della madre alla sua
richiesta di aiuto. Questa richiesta non era stata soltanto rifiutata;
era stata anche ridefinita in termini per i quali essa non aveva alcun
fondamento: la madre aveva “cortesemente” ricordato alla figlia
che lei era perfettamente capace di occuparsi di se stessa. La
stessa struttura del disperato tentativo della paziente di mettersi in
contatto con la famiglia perché qualcuno corresse in suo aiuto
veniva in tal modo recisa e lei cominciò a sentire che la realtà
dell’universo come lo aveva percepito fino ad allora cominciava a
dissolversi. L’allucinazione che ripeteva il messaggio “Vedi … sei
cieca … vedi … sei cieca” cristallizzava questo dissolversi in forma
uditiva.
Molto spesso non ci sono eventi drammatici e facilmente
identificabili che precedono immediatamente l’avvento della
disintegrazione del sé e del mondo, e ciò può portare l’osservatore
cartesiano a concludere che la psicosi del paziente nasca da fattori
e processi completamente interni. Una conclusione di questo tipo
che si poggia su una distinzione grossolana tra psicopatologia
endogena ed esogena non riesce a prendere in considerazione
l’unicità dei significati che avvenimenti apparentemente ordinari o
persino triviali possono assumere nel campo intersoggettivo al
quale essi appartengono. Questo contesto include talvolta temi
profondi e continui di formazione del mondo che risalgono alle
vicissitudini della vita precoce, temi che hanno a che fare con la
stessa capacità di una persona di fare esperienza del “io sono”. Il
flusso degli avvenimenti della vita quotidiana, nessuno dei quali
appare notevole a un osservatore esterno, può diventare
incessantemente traumatico quando è in relazione a questi temi e