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veramente difficile e penoso pensare a una bambina di due anni
costretta dal proprio padre a pratiche sessuali come quelle
descritte, e pensarla a sei anni accusata dalla madre di mentire e
minacciata di punizione se parla. E’ difficile, ma noi le crediamo. Noi
oggi (molti di noi anche se non tutti) crediamo di nuovo,
coraggiosamente, ai nostri
neurotica
.
3) La presenza dell’analista
C’è qualcosa in questo articolo che mi sembra mancante e che è
invece, secondo me, di primaria importanza. Mi riferisco alla
presenza del terapeuta nella relazione. Le storie cliniche sono molto
ben descritte e risultano, come dicevo, convincenti. Tuttavia,
chiunque di noi abbia esperienza di analisi – o di psicoterapia – sa
quanto tempo e quanta fatica ci vogliano per ricostruire queste
storie. Qui, è un po’ come se l’autore ci facesse subito leggere la
conclusione del romanzo, per mostrarci come va a finire, ma non
soltanto questo. Il significato e l’origine della sofferenza del
paziente è cercato e trovato nella sua storia, con i personaggi della
sua vita, fuori dell’analisi. Ma come è andata la vicenda
paziente/analista? Accanto al racconto che i due hanno
pazientemente rimesso insieme si è sicuramente svolta un’altra
storia, quella della coppia analitica. Sono convinta che elementi
fondamentali della storia del paziente sono frequentemente evocati
nel qui e ora della relazione con l’analista. Dico evocati, non penso
che il paziente proietti o metta nell’analista cose sue. Il fatto che
certi eventi compaiano nella relazione attuale e siano visti,
riconosciuti e convalidati rende la ricostruzione storica più viva e
più credibile.
Invento un esempio che può riferirsi all’ultimo caso: può
accadere che il paziente senta l’analista come uno che gli vuole