mantenere una regolarità nel giorno e nell'ora degli incontri, dell'onorario, che lei già
conosceva, e del pagamento in genere a fine mese Aggiunsi che nel caso di assenza,
se non mi avesse avvisato entro ventiquattrore, la seduta avrebbe dovuto essere
pagata ugualmente. Normali comunicazioni di routine. Mi scordai incomprensibilmente
di dirle che facevo recuperare la seduta persa , se era possibile. Le chiesi che cosa
ne pensasse o se avesse qualche obiezione da fare. Mi rispose di no..Notai che si era
oscurata in volto, azzittita e si era alzata di scatto dalla poltrona prendendo in mano la
borsetta, eravamo in fine seduta. Percependo il cambio di clima, aggiunsi qualcosa in
tono forse più complice del tipo: se c'è qualche problema me lo dica. Non rispose,
eravamo l'una davanti all'altra, mi girò le spalle, rovistò nella sua borsetta, a testa
bassa. Percepii che qualcosa era successo non dissi più nulla. Mi sentivo dispiaciuta e
preoccupata.
Ci accordammo per la settimana prossima.
Dopo due giorni mi arrivò una telefonata “ Dottoressa ho deciso di non venire più”
Forse me l'aspettavo, ma mi irritò lo stesso. Le chiesi velocemente perchè, mi rispose
che non sapeva bene neanche lei, non si era trovata a suo agio. Le dissi che mi
spiaceva e ci salutammo.
Ci ripensai con calma il giorno dopo, gli incontri fra di noi erano stati intensi, forse
troppo? Forse si era spaventata dall'eccessivo emergere dell'emozioni? Sicuramente il
contratto Avevo notato che qualcosa l'aveva turbata alla fine della seduta. Riflettei sul
fatto che non si era inventata una scusa, e che mi sembrava disposta a capire anche
lei che cosa l'avesse portata a quella decisione : mi sembrava avesse lasciato aperto
uno spiraglio. Mi venne in mente una frase di Winnicott “nascondersi è un piacere,
non essere cercati una catastrofe” Decisi di mandarle un sms, prassi per me
assolutamente inusuale , spiegandole che rispettavo la sua decisione ma che ero io
che desideravo capire meglio che cosa era successo. Non volevo mostrarmi invadente
o pressante, non era un invito a ritornare sui suoi passi, volevo darle l'impressione di
lasciarla completamente libera di non rispondermi se non le sembrava il caso.
E invece dopo dieci minuti mi rispose dicendomi che le aveva fatto piacere il mio
messaggio e che mi avrebbe scritto via e mail alla sera in modo più esteso.
Nel messaggio serale mi precisò che erano state forse le “rigide regole” del contratto
analitico che l'avevano fatta sentire come se entrasse in prigione.
“Se voglio lavorare su di me devo sentirmi libera di farlo senza coercizione e con i miei
tempi. Io sono seria, sono veramente determinata a fare questo lavoro”
A questo punto ripensai alla mia comunicazione in seduta delle regole analitiche,
soprattutto naturalmente a quella relativa alla cancellazione delle sedute e al loro
pagamento, ma non solo.. Mi stupii quando utilizzò l'aggettivo rigido, assai lontano dal
mio modo di essere, ma era una modalità forzata che probabilmente avevo utilizzato
in quel momento per prendere il coraggio, come sempre mi capita, di comunicare
qualcosa che ogni volta non mi lasciava mai convinta fino in fondo, se mi mettevo dal
punto di vista del pz, ma che per esperienza ritenevo necessario se rimanevo dalla
parte dell'analista.
Le risposi che non vi era nulla di cui non si potesse parlare o su cui non si potesse
negoziare neanche del contratto analitico. Fissammo un altro appuntamento.
Nell'analizzare quello che era successo in attesa della prossima seduta ripensai alla
mia esperienza durante la mia prima analisi quando l'analista mi avvisò dell'obbligo di
pagare le sedute cancellate. Provai allora un sentimento di forte ingiustizia che mi
sembrò fosse svanito quando l'analista me ne spiegò le ragioni. Naturalmente la mia
esperienza come terapeuta mi portò a capire la necessità pratica e clinica di applicarla
con i miei pazienti, anche se in forma più flessibile e differenziata. Tuttavia rimaneva
un punto oscuro di me non veramente risolto, un momento sempre un po difficile di