interagisce col paziente, ai micro movimenti.
Owen Renik ha utilizzato il concetto di enactment per una radicale rielaborazione del
ruolo dello psicoanalista nella diade analitica. Le messe in atto dell'analista sono non
solo inevitabili ma desiderabili, perchè permettono di essere analizzate e di creare un
clima analitico di maggior spontaneità . La sua posizione è molto radicale: non solo
eliminare l'anonimato ma favorire una posizione etica di disvelamento, autenticità e
franchezza.
Hirsh riassume l'approccio interpersonale contemporaneo in tre affermazioni che
sintetizzano la partecipazione analitica come “partecipazione osservata” modificando
l'assunto di “partecipazione osservante” di Sullivan. 1° paziente e analista si
influenzano reciprocamente 2°l'enactment di controtransfert è inevitabile e necessario
3° il controtransfert spesso scoperto dopo l'enactment, va affrontato utilizzandolo.
L'attenzione posta agli enactment, al di là di come ogni psicoanalista decida di
utilizzarli nella clinica, ha avuto il merito di modificare l'ascolto analitico e indirizzare
l'attenzione dell'analista verso le emozioni che circolano in entrambe le direzioni. Vi è
unanimità nel ritenere che la soggettività dell'analista venga trasferita al pz e sia
inutile e controproducente cercare di eliminare questa partecipazione .
Spontaneità e sincerità nel muoversi nel campo analitico. Hoffman indica questo
atteggiamento con l'espressione “buttare via il libro” e Renik nel bisogno di giocare a
carte scoperte favorendo anche comportamenti disciplinati di self disclosure.
UN CASO CLINICO
Una situazione clinica tratta dalla mia esperienza con una paziente all'inizio del
trattamento è stata caratterizzata da situazioni di enactment direi precoci ma anche
da interventi di autosvelamento, che reputo spesso necessari quando le messe in atto
portano ad una empasse analitica.
La paziente mi era stata indirizzata da una collega che fa counseling.
Apparve fin dall'inizio collaborativa e determinata nell' intraprendere un lavoro su di
sé, allo scoccare dei quarantanni, dopo due relazioni interrotte e un progetto, ormai
agli sgoccioli, di creare una famiglia ed avere dei figli. Laureata in economia e
commercio, ricopriva incarichi di responsabilità nella azienda in cui lavorava. Mi
sottolineò sorridendo che la consideravano severa e rigida, ma lei non capiva il
perchè, era solo molto precisa ma amava aiutare gli altri. Accennò, senza soffermarsi
molto, al rapporto conflittuale con la madre e alla percezione di un trattamento di
favore da parte dei genitori verso la sorella più piccola.
Era una donna di aspetto gradevole, con un viso molto mobile, che a tratti si oscurava
come se fosse attraversata da pensieri cupi , in altri momenti si illuminava di un
sorriso molto comunicativo, in altri ancora il viso sembrava perdere ogni forma nel
tentativo di trattenere i singhiozzi. Le emozioni si alternavano velocemente sul suo
viso.
Le proposi due colloqui iniziali per conoscerci un po' e arrivare ad una certa chiarezza
sulle sue motivazioni ad intraprendere un lavoro di psicoterapia. Lei accettò e i
colloqui si svolsero in un clima collaborativo, senza inibizioni mi raccontò le sue
esperienze, le sue angosce e le sue sofferenze legate soprattutto alla solitudine.
Piangeva, sorrideva, gli affetti circolavano fra di noi, mi sentii coinvolta e ero ben
disposta ad iniziare un lavoro con una persona intelligente e sensibile.
Al termine del secondo colloquio le parlai del contratto analitico, della necessità di
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