internet). La possibilità di passare da un mondo all’altro mi appare in modo evidente
una modalità dissociativa di evitare argomenti troppo dolorosi, rifugiandosi in contesti
“bonificati” in cui qualsiasi riferimento approfondito alla famiglia è assente. Di più,
rappresenta la possibilità, rispetto alla terapeuta, di evitare che essa si avvicini in
modo traumatizzante a temi ancora troppo brucianti e così, quando insisto con una
richiesta più approfondita rispetto alla sua storia, P. di fatto non risponde e mi offre di
seguirlo, per quanto possibile, nell’angolo sicuro che ha ricavato… Il ritmo dei racconti
rivela le emozioni sottostanti: quando P. parla, pochissimo, del padre e dei suoi
problemi lavorativi, ha una voce bassa e un ritmo molto lento, guarda a terra, tutto
nel suo corpo esprime dolore e fatica. Quando poi si rifugia in uno dei “mondi
possibili” il tono della voce è più alto, il ritmo molto più veloce, e P., sebbene sempre
riparato dai suoi occhiali scuri, alza la testa, gesticola, insomma si rianima.
Trascorrono altri due anni così, poi mi dice, nella modalità descritta prima, e senza
tanti dettagli, che è stato informato ora del completo fallimento dell’azienda,
realizzatosi negli anni, per incompetenza, superficialità, ingenuità del padre. Al tempo
in cui il padre voleva assorbire P. in azienda, questa era già in condizioni molto
critiche, eppure P. non ne sapeva nulla, per una modalità di relazionarsi che mi
sembra tipica dei componenti di questo nucleo familiare: al tempo stesso incapacità di
valutare la reale gravità dei fatti e una grande vergogna di mostrare la propria
vulnerabilità. Il re è nudo, la potente ma ambigua figura paterna si ridimensiona
drasticamente nella versione di un uomo vulnerabile, fragile, che nasconde anche a se
stesso il fallimento del mondo in cui ha sempre vissuto e che ha creato, l’unico mondo
che conosce e in cui sa vivere (davvero il passaggio da “uomo colpevole” a “uomo
tragico”). Complesse trattative economico-legali si rendono necessarie, ed il padre
appare assolutamente incapace di affrontare tali problematiche. In questo passaggio
si realizza una trasformazione: paziente e analista vivono la coesione di quelli che,
fino ad allora, erano stati frammenti separati. P., che nel frattempo, pur in quella
modalità così impoverita, aveva continuato a tenersi in contatto con i suoi libri, con la
musica e con se stesso, vive una potente spinta verso l’integrazione della sua
esperienza, che, a sua volta, induce rinnovata vitalità anche nell’analista. Comincia a
parlare sempre di più della situazione in azienda, “laggiù al paese”, come dice lui,
comunicando la distanza enorme che sente rispetto a un ambiente che nella realtà è a
poche centinaia di km. P. contatta l’avvocato che segue la pratica per saperne un po’
di più, forte delle sue già acquisite nozioni di economia e di legge. Mi sembra davvero
che un mondo si sveli, quello in cui P. si può sentire un uomo un po’ sicuro e un po’
competente che dice di sé:”visto che so’ mezzo dottore posso capirci qualcosa ormai
no?” e quel modo di dire “mezzo dottore”, mi sembrava esprimesse esattamente la
sua percezione di sé in quel momento: un uomo competente, un “dottore”, ma ancora
solo a metà, in divenire. Una lunga immobilità dalla quale ci si comincia lentamente, e
dolorosamente, a riscuotere. Il padre ma soprattutto l’azienda e la conclusione delle
vicende economico-legali successive al fallimento entrano sempre più spesso nel
discorso che diventa sempre più una conversazione a due. I rigidi steccati che
definivano i diversi mondi si vanno sempre più indebolendo, il parlare è sempre più
fluido e vario. E’ proprio come se l’elemento contingente, il disvelamento sulla reale
consistenza dell’azienda e del padre stesso, liberassero definitivamente P. da un giogo
pesante che si è trascinato per anni. Questo nuovo uomo adulto, che non vuole la