mare non lontana da Napoli, e così propongono a P. se voglia trasferirsi là, con la
sorella, cosicché entrambi possano più facilmente frequentare l’Università…. P. accetta
e da qui, in qualche modo, comincia a riallargarsi il campo. La relazione con la sorella,
che fino a pochi anni prima era quasi esclusivamente “la sorella piccola”, diventa una
relazione di grande vicinanza e solidarietà, soprattutto rispetto alla gestione del
rapporto con i genitori, e al tempo stesso di una certa autonomia (B. frequenta
l’Università, ha degli amici, esce, viaggia). P. trascorre il primo anno nella casa al
mare più o meno come a casa dei genitori. Trascorre molto tempo a letto, ha portato
con sé il computer, e anche il pianoforte, che però è del tutto inutilizzato. I genitori
vengono a trovare i figli qualche fine settimana, o per brevi periodi durante l’anno.
Trascorre un’altra estate, in cui P. non è andato nemmeno una volta al mare, pur
dicendo di amarlo, è uscito qualche volta da solo, visto che non conosce nessuno e
certo non ha avuto molti contatti con l’esterno… e a questo punto interviene la sorella
per convincerlo a incontrare una psichiatra psicoterapeuta per vedere come P. possa
essere aiutato. E’ lei a trovare il mio riferimento, a chiamarmi e ad accompagnare P.
al primo colloquio. Ed eccoci all’inizio della nostra storia. Un giovane uomo chiuso,
poco accessibile, già da come si presenta, che mi racconta le sue giornate monotone
alle prese con i libri di studio che alimentano un’angoscia profonda. Mentre legge,
racconta, si inseriscono continuamente pensieri estranei al libro. Pensieri di franca
inadeguatezza ”non capisco quello che sto leggendo”, ma anche più subdoli,
riguardanti l’aspetto fisico “divento sempre più cadente, non ho più muscoli” in una
ruminazione continua che rende impossibile la concentrazione sui contenuti del libro.
Non riesco a entrare in questa angoscia, a condividere il dolore, in questa fase. P. mi
racconta le giornate come una sorta di dovuto resoconto, e, pur nella grande angoscia
che traspare, non riesco a “infilarmi” nel racconto. Se faccio qualche domanda, per
esempio su che cosa stia leggendo di preciso, risponde in modo laconico “Economia
Aziendale”, segue qualche minuto di silenzio, come se avessi creato una frattura in un
continuum coerente, e poi, riparata l’intrusione, riprende il racconto. Mi sento sempre
più irrequieta, durante le nostre sedute, anche se mi fa piacere vederlo, ammiro la
sua intelligenza che, pur sotto la coltre di vergognosa inadeguatezza, affiora nella
scelta di una immagine suggestiva, un paragone calzante, un’intuizione originale.
Intanto P. ha almeno, di nuovo, un impegno suo, che mantiene con continuità: i nostri
appuntamenti, che lo fanno uscire da casa e in qualche modo ridanno una scansione al
suo tempo. I racconti proseguono, siamo a due anni dall’inizio dell’analisi, a un certo
punto riemerge la musica: riafferma di amarla molto, per qualche anno ha preso
anche lezioni di pianoforte (dai 14 ai 17 anni), e ha sempre amato molto
improvvisare, ascoltare gli autori più “illustri” anche nel jazz, in una passione che
comprende tutti i generi e in cui l’elemento di selezione è rispetto all’originalità e alla
“grandezza” nei diversi ambiti (per questo ammira Beethoven o Chopin come Ennio
Morricone). E’ forse da qui che è iniziata una differenziazione nei racconti di P. Accade
questo: Il campo terapeutico si amplia, appaiono narrazioni correlate alla musica, alla
quale comincia timidamente a riavvicinarsi. Riprende a suonare, compra libri di musica
e spartiti via internet e così in questo modo (cercare e poi trovare e comprare la
tastiera) anche il computer riappare in questa desertificazione della sua esperienza. I
libri sono sempre presenti, come sfondo, e si definisce la particolare modalità di P.,
nonché sua unica possibilità in quel momento, di riprendere a muoversi in aree