differenti nel tempo. La prima, dall’infanzia di P. fino a pochi anni fa, di un uomo
onesto, dedito alla famiglia alla quale”non faceva mancare niente” Un senso di
sicurezza, non solo economica, che P. sentiva garantita per sé e gli altri della famiglia,
da questo papà buono e potente. Il conflitto emerso in seguito all’esplicita intenzione
del padre di far entrare P. a lavorare in azienda, designandolo come l’erede di questa
impresa, e poi l’emergere di una serie di vicissitudini finanziarie legate all’azienda
stessa, fino al suo fallimento,hanno drammaticamente frantumato questa immagine,
fino a giungere alla rassegnata consapevolezza di oggi, del padre come di un uomo
buono, onesto, dedito al lavoro ma assolutamente incapace di gestire l’aspetto
finanziario. Una serie di azioni intraprese hanno portato negli anni alla chiusura per
fallimento dell’azienda in una delicata gestione economico legale tra banche ed
avvocati che oggi è essenzialmente responsabilità di P. Tutti questi avvenimenti hanno
costituito un elemento chiave delle vicissitudini psicologiche di Piero.
Ma questa è storia (relativamente) recente. Alla fine della scuola superiore (quella
consigliata dal padre), P. riceve come regalo dai suoi un’auto sportiva, nel frattempo
ha intrapreso e concluso senza drammi due o tre relazioni sentimentali, ha sempre il
suo gruppo di amici, e non si preoccupa troppo dell’immediato futuro. La madre
mantiene il suo lavoro di infermiera, la sua presenza in azienda è saltuaria, appare del
tutto solidale col marito nel prospettare la realizzazione lavorativa di P. nel negozio, a
fianco del padre e “un giorno” prosecutore dell’opera paterna.
Nella vita di Piero fino a quel momento l’attività di famiglia ha rappresentato non solo
una fonte di guadagno, ma anche del mantenimento di uno “status” sociale. A 19 anni
la realtà dell’azienda si avvicina di più a Piero, in quello che forse era sempre stato
sottinteso, ma comunque lui realizza solo ora, come stringente proposta-richiesta.
Cominciare l’Università e contemporaneamente lavorare in modo costante in azienda,
ricoprendo quel ruolo designato di cui sembra diventare consapevole solo ora. Quello
che P. ha raccontato in analisi è un senso di iniziale sorpresa, spiazzamento,
ribaltamento dei progetti, a suo tempo manifestati e non apertamente osteggiati, di
trasferirsi a Napoli per frequentare l’Università, abitare per conto proprio, magari con
altri ragazzi, e vivere lì, almeno per gli anni di studio. Tuttavia non c’è una ribellione
aperta, non mi racconta un contrasto, una lite, uno scambio un po’ movimentato. La
mia fantasia è che si vergogni di raccontare come siano andate le cose. Il senso di
responsabilità gli ha del tutto impedito una ribellione esplicita? Non ha voglia di
raccontarmi una discussione che lo ha visto perdente? Quello che so dall’esperienza
con P. è che è sempre stato reticente a narrare dialoghi avuti in famiglia, con il padre
soprattutto. Anche oggi, mi vengono raccontati (e chissà di quanti non saprò mai…)
alla fine dell’ora, in modo frettoloso e conciso. Tutto ciò che riguarda le interazioni con
i genitori, e massimamente col padre,è gestito così. P.,comunque, si propone di
mandare tutto avanti (università e lavoro), rimanendo al paese... La motivazione che
posso immaginare oggi è un misto di senso di responsabilità (l’attività di famiglia
manteneva tutti) insieme ad una sua passività, emersa chiaramente nel tempo in
analisi, connessa alla tendenza a separare i vissuti dalle emozioni. Piero è portato a
dire: ” no, ma va bene ugualmente” (penso all’inizio dell’analisi quando era costretto a
saltare una seduta, pur essendone molto bisognoso, e quando io manifestavo il mio
dispiacere, invariabilmente lui diceva”no, ma va bene uguale”,dove il “no” aveva un
valore riduttivo, “non è un problema”, e invariabilmente la volta successiva lo trovavo
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