che altera il nostro senso del familiare creando una perturbazione nei nostri sistemi
semiotici, permettendoci di tenere presenti contemporaneamente molteplici possibilità
e interrogarci sulle nostre credenze e sul nostro bisogno di credere in ciò che crediamo
mentre stiamo in relazione con un altro il cui essere profondo sembra opporsi a noi in
modi terribilmente dolorosi.
Anna Maria Barbero
propone una riflessione, attraverso una storia clinica, che parte
da una impasse durante il lavoro terapeutico, per aprirsi ad un’ampia digressione su
temi di grande rilievo in una prospettiva relazionale, quali trauma, dissociazione,
vergogna, enactment. Il titolo è
“Evoluzione a ritroso: dalla parola alla
percezione”.
Il lavoro è arricchito da due commenti, uno di
Velleda Ceccoli
:
“Ponti
in costruzione”
,
l’altro di
Marina Amore
:
“I percorsi del corpo”.
Alioscia Boschiroli
in
“Fattori non interpretativi in Psiconalisi: La questione
dell’ Autenticità”
nel contesto di riferimento della teoria, la clinica e l’esperienza del
trauma, affronta il rapporto tra soggettività, autenticità e la costruzione di quella che
chiama “soggettualità” intesa come percezione della propria soggettività. In questo
contesto, con l’ausilio di una presentazione clinica, mette in luce il valore e la funzione
dell’autenticità quale dimensione affettivo/relazionale nel processo terapeutico e quale
fattore di cambiamento.
Carlo Carapellese
, in “
Affetti d’odio: tra il guardare e non essere visti”,
arricchisce la molteplicità delle voci sul tema generale con un originale contributo sugli
”affetti d’odio” in psicoterapia. Si interroga, sulla base di un caso clinico, sulle auto e
mutue regolazioni e sui percorsi interattivi capaci di mitigare stati del sé sostenuti
dall’odio, all’interno di una motivazione avversiva. Il filo principale di questa riflessione
è lo sguardo, compito terapeutico di analista e paziente è quello di cercare un altro
modo di guardare, risanatore, che conduca all’esperienza in cui “ognuno possa
guardare e, a sua volta, essere visto e confermato.”
Giuseppe Di Leone
, in
“Rigidità delle aspettative e praticabilità del
cambiamento”
mette in luce con svariati esempi clinici la complessità del lavoro con
quei pazienti che aderiscono a una definizione particolarmente rigida del Sé. Una
struttura difensiva - sorta per accomodamento patologico per preservare i legami
primari - che se da una parte garantisce continuità e senso alla vita del paziente,
dall’altra, lo sottopone a continui sforzi e angosce per mantenerla. Riconoscere al
paziente in analisi il bisogno di conferma celato dietro di essa - bisogno soddisfatto
con precise strategie relazionali il cui fallimento è causa di stati di frammentazione del
Sé - lo allevia dalla colpa e dal disprezzo causati dalla dipendenza. Allo stesso tempo,
in una condizione di sicurezza, il paziente potrà riprendere contatto con gli affetti non
convalidati, che sono rimasti al di quà della struttura difensiva automatica.
Federica Elia,
con il lavoro ”
Lezioni di tango: il linguaggio del corpo e la
dimensione implicita nel processo terapeutico”
, porta un contributo originale,
attraverso una storia clinica, sul ruolo di fattori non strettamente interpretativi nel
lavoro analitico, elementi come il tono della voce, la postura, lo sguardo, un’atmosfera