Y., Tutin, C., Wrangham, R., & Boesch, C., 1999) e non solo in esse, ma anche per
esempio nei cani (Range, F., Viranyi, Z., & Huber, L., 2007). E’ quindi un carattere
che non risale a H. sapiens, ma compare almeno qualche milione di anni prima della
divaricazione dai primati. E, dalla biologia ho imparato che più antico è il carattere,
più vitale è spesso la sua funzione.
Come molti mammiferi, H. Sapiens (cioè noi), grazie a questo tipo di imitazione, è in
corrispondenza temporale e contagiosa con gli stati emotivi degli altri, espressi col
corpo come il riso, il pianto, lo sbadiglio, il moto, ecc. Il contagio di tali stati si basa
sulla capacità di far corrispondere il nostro corpo a quello dell’altro e di farli propri nel
nostro movimento muscolare corrispondente, come sembrerebbe essere l’azione dei
neuroni mirror. Ciò è considerato all’origine dell’empatia (la corrispondenza riguarda
anche la gioia). Ho sempre pensato che l’empatia fosse espressione della parte più
alta della mente, cioè della capacità cosciente di assumere la prospettiva dell’altro che
soffre e soprattutto che questo ci contraddistinguesse dagli animali. In realtà essa è
già presente molto più in basso, più semplicemente nella sincronizzazione non conscia
dei nostri corpi sopra esemplificata
. Per questo per esempio lo sbadiglio è contagioso
(non nei bambini autistici!), e lo è addirittura tra specie diverse, potremmo riuscire a
far sbadigliare uno scimpanzé, se insistiamo! Tale contagio rivela negli animali un
sincronismo chiave implicito per il coordinamento della vita sociale della specie e
addirittura talvolta con un valore di sopravvivenza: un uccello che spicca il volo dal
gruppo, è seguito immediatamente dagli altri che non hanno avuto il tempo di
realizzare cosa sta succedendo, ma è bene seguirlo. Il ritmo del dormire, del
mangiare, del coordinare le attività e le relative azioni indicano che quello è il tempo
di quelle cose, è il comportamento della specie, del proprio branco, del proprio stormo
ecc. Il corso del tempo fluisce e spinge in avanti in modo che sembra concordato con
gli altri, implicitamente concordato e se qualcuno non è in grado di stare nel
comportamento di gruppo, rimarrà abbandonato. E’ già abbastanza per dire che
imitare il gruppo ha una funzione vitale.
Anche gli essere umani si sono organizzati ad avere implicitamente dei comportamenti
universali a cui ubbidiscono in modo automatico. Gli umani vivono con l’orologio,
hanno ricorrenze temporali come week-end, vacanze, anniversari e feste che
radunano la famiglia, la comunità locale, sociale, professionale per manifestare
l’appartenenza al gruppo (feste patronali, della repubblica, congressi ecc.). Noi
sappiamo esercitare il coordinamento implicito imitativo con la danza, con la musica,
la marcia delle parate, cantare insieme ecc. Sembrano tante le occasioni create per la
coesione di gruppo. Questo è un caso in cui il comportamento sociale trova una
motivazione esplicativa a partire dall’etologia animale, dal nostro profondo più animale
che infantile! Un esempio che mostra le implicazioni che hanno questi tipi di
corrispondenze dei comportamenti è il tempo del mangiare: esso non indica solo un
i
Ma anche nella percezione della sofferenza di un compagno della propria specie (scimpanzé osservato
che abbraccia un compagno aggredito (de Waal, F. B. M., 2009). Sull’empatia, sempre da de Wall:
“Empathy has many levels, from basic perception-action mechanisms (probably related to mirror
neurons) to ever greater cognitive elaborations that include perspective-taking. The basic forms of
empathy exist in all mammals because they serve important survival functions for animals with
vulnerable young. The higher forms of empathy require a sharp self-other distinction that is found only in
humans over the age of two and a few other large-brained animals: apes, dolphins, and elephants”.