seconda degli autori della Psicologia del Sé e della Psicoanalisi Relazionale ed implica
l’assunto generale che i soggetti si influenzano reciprocamente.
Questo semplice assunto, tuttavia, non rivela la complessità della situazione, vista
come essenzialmente interattiva, dove non c’è una mente isolata indipendente e dove
contemporaneamente la reciprocità implica un rischio di chiusura nella dualità da cui
liberarsi pervenendo ad un terzo fuori della coppia.
Stechler (Stechler, G., 2003) esce dal problema ritenendo che la mutua influenza tra
due persone non è niente di più che un condizionamento dell’esito e non una
determinazione di esso, ciascun sistema mantiene le sue proprietà e sceglie una
direzione che può sorprendere se stesso e l’altro.
Riportandoci alla tematica dell’implicito, possiamo vedere anche altre cose. Abbiamo
considerato due forme di esso, una con parole e corpo coerenti ed una invece
incoerenti. La comunicazione tra soggetti in entrambi i casi si costituisce con
complementi paralinguistici e di espressione corporea che usa ogni modalità a
disposizione: voce, mani, referenti corporei, metafore, movimento, gesti sincronizzati
con la parola e tutto questo espresso anche con parole comprensibili, ma anche
incomplete, confuse, contraddittorie. Ritengo di chiamare l’insieme di questi elementi
come canali o linee comunicative e ritengo di considerare questo insieme come un
contesto a cui lo psicoanalista conviene riferirsi se vuole completare le sue possibilità
di comprensione e di vicinanza al paziente. L’intersoggettività probabilmente non è
altro che questo intreccio di elementi di un soggetto con un altro. L’intreccio è
costituito dalla quantità di canali comunicativi che completano il messaggio verbale e
che costituiscono il contesto implicito su cui si appoggia il significato della parola.
Forse non è un contesto abituale di osservazione clinica e certamente è un contesto
che rappresenta una sfida piena di perdite. Infatti tutti i canali comunicativi, dalle
mani al timbro della voce ed all’assenza di parole, si esprimono in modo simultaneo,
probabilmente, sta proprio in questa simultaneità di avvenimenti la difficoltà del
cogliere comunicazioni e significati. A mio giudizio, talvolta il termine di inconscio può
essere usato per nascondere questa difficoltà troppo piena di elementi da codificare.
La complessità di tutti questi intrecci che abbiamo semplificato raggruppando tutto
sotto il termine prima di inconscio ed ora di non conscio richiede, a mio avviso, di
essere studiata con metodi che facciano risaltare i diversi componenti.
Se la terapia consiste in una rinegoziazione di vecchi modelli attaccati a ferme
percezioni, relazioni, memorie ecc. abbiamo da aggiungere le modalità implicite per
realizzare con più cura questo compito.
Conclusioni
In sintonia col Gruppo di Boston ritengo che il significato non si genera solo dalla
simbolizzazione ma si osserva anche incorporato nella relazione implicita. Destinare gli
aspetti evolutivi più complessi e più significativi dal punto di vista relazionale a forme
di significato pronunciate verbalmente più tardi è una limitazione dell’attuale teoria e
trascura che anche la parola stessa è azione.
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