L’impeto dell’esperienza che insieme permettiamo che si evolva è sviluppato,
approfondito ed amplificato mentre noi lottiamo per rimanere attenti e recettivi verso
tutti i livelli di comunicazione continuamente in atto.
Queste comunicazioni che ci plasmano, hanno un effetto forte, qualche volta in
sintonia, ma più spesso, trascendendo le parole e le interpretazioni tradizionali.
Un forte accento afrikaans gracchiò nella mia segreteria telefonica. Immediatamente
divenni tesa, congelata, sentendo poco più che suoni gutturali che mi sconcertarono.
L’essenziale del messaggio riuscì a passare.
Un Afrikaner voleva cominciare una terapia con me.
Con me, l’altro sud-africano di lingua inglese che protesta, il quale, per definizione, si
sarebbe contrapposto come il nemico naturale dell’Afrikaner, date le nostre differenze
fondamentali ideologiche e di impegno politico.
Improvvisamente i trent’anni passati da quando ho lasciato la mia patria sono spariti e
mi sono sentita catapultata indietro in quel mondo di divisioni, di odio, di dolore,
sofferenza, orrore, un mondo di rabbia e terrore.
La sensazione era forte, viscerale. In quei pochi momenti che seguirono divenni
dolorosamente consapevole dello stato di allarme e dei sentimenti di odio e rabbia di
riflesso che questo accento fa scattare in me.
Naturalmente non avrei risposto a questo messaggio, non era il caso nemmeno di
prendere in considerazione la possibilità di essere la terapeuta di questa donna. Non
potevo essere più sicura.
Per chiarire, il sistema di apartheid del Sud Africa, benché più atroce nella
segregazione bianchi/neri e nell’oppressione crudele di tutti quelli designati come “non
bianchi”, permeava anche altri aspetti della nazione.
I bianchi sud africani erano essenzialmente divisi in parlanti in inglese e in afrikaans,
la cui segregazione, sebbene non legalmente attuata, era socialmente organizzata in
termini accademici, geografici e di alleanze politiche e culturali.
Il contatto e dunque l’essere familiari l’uno con l’altro erano severamente confinate:
vivevamo invece con un costante senso di negatività reciproca, ciascun gruppo
dominato da un pensiero stereotipato dell’altro.
Essenzialmente, gli afrikaners erano gli architetti del sistema d’apartheid e
controllavano il Paese politicamente mentre gli inglesi erano percepiti come
l’opposizione, i traditori bianchi che potevano mettere in pericolo il paese attraverso le
loro tattiche “rivoluzionarie”, strappando gli afrikaners dal loro “ legittimo luogo di
patto sacro”. Così la scena era messa a punto per generalizzazione reciproche,
diffamazione stereotipata e rigidità di ruoli.
Di conseguenza questo messaggio telefonico mi confuse e angosciò.
Passarono molti giorni. Poi un secondo messaggio in cui mi si chiedeva di richiamare.
Questa volta leggermente più calma, potei registrare, poco al di là dell’accento, la
voce tesa, educata, ma disperata. È stata la sua disperazione ad agganciarmi? Non lo
saprò mai.
La curiosità forzò la mia precedente certezza e richiamai.
Cercando di ascoltare oltre il flusso di associazioni evocate da questo accento, fui
colpita da una donna che sembrava intelligente, riflessiva e motivata.
Uno spazio si era aperto dentro di me e mi decisi ad incontrarla, curiosa per lo meno
di vedere perché avesse selezionato me, apparentemente il suo nemico naturale, una
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