responsabilità molto al di là della sua età e in cui non poteva aspettarsi un sostegno o
un soccorso.
Fece un’associazione alla sua lotta per sentirsi riconosciuta sia per i suoi limiti sia per
la sua forza, avendo bisogno della sicurezza di appartenere a istituzioni legittime e o a
progetti in cui venire riconosciuta in modo adeguato per le sue capacità, in cui potersi
esprimere con la consapevolezza e la sicurezza di una rete protettiva lanciata
automaticamente.
Anch’io notai la forza della sua espressione affettiva nel sogno come pure nel suo
racconto. Feci dei commenti su questo. Lei fu d’accordo.
N. : “Non mi rendevo conto di quanto fossi arrabbiata con mia madre… quanto mi
fossi sentita sempre orribilmente non protetta… quanto ci si aspettasse sempre tanto
da me… quanto poco fosse riconosciuta la mia vulnerabilità. Forse non ho mai
realmente saputo quanto fossi vulnerabile. Penso che solo ora io stia cominciando a
rendermene conto”.
Presi in considerazione le implicazioni transferali su questo punto, ma non le seguì in
quel momento. (Avrei reagito come sua madre o sarei riuscita a riconoscere ed essere
con la sua vulnerabilità senza imporre i miei bisogni? O ero forse la madre che
colludeva con quella parte di lei che si era lasciata indietro, abbandonando aspetti di
sé importanti e vulnerabili?).
Cambiai argomento.
H. : “Forse il fatto che non si rendesse conto della sua vulnerabilità le ha permesso di
assumere i rischi che ha preso in Sud Africa”.
N. : “Forse. Non avevo mai paura… mai. Per questo assumevo sempre i compiti tosti.
Come quando dovevo far arrivare di nascosto la gente fuori dal paese nel bagagliaio
della mia auto. Tutti mi vedevano sempre così calma – imperturbabile – che sapevano
che avrei potuto passare il confine o qualsiasi altro posto di blocco e sembrare
innocente”.
“E lei non registrava alcuna paura”, chiesi “nemmeno i quei momenti?”
N. : “No. In realtà era eccitante. Mi sentivo viva, coinvolta. Più viva di quanto mi sia
mai sentita prima. Molto più viva di quanto mi senta in questo periodo”.
Stando lì seduta con lei, entravo in risonanza con la sensazione dell’impegno
appassionato, del senso di vitalità che si accompagna con rischi del genere ma, allo
stesso tempo, mi sentivo spaventata
dalla paura più grande che questi sentimenti
oscurano.
H. : “I suoi genitori sapevano in che cosa era impegnata, Nell?”
N. : “Solo superficialmente. Sa per un Afrikaner essere contro il governo era perfino
più vergognoso che per una persona di lingua inglese. Mia madre non lo voleva
sapere. Si vergognava così tanto. Mio padre, be’, lui era diverso. Non sono sicura di
cosa voglio dire. C’era qualcosa in lui che sentivo essere differente dal resto della
famiglia. Assumeva dei rischi con i suoi lavoratori nella fattoria, estendendo loro
opportunità e privilegi proibiti dalla legge di apartheid. Questo era molto inconsueto,
in un certo modo era molto rischioso. Non mi sono mai resa conto di questo all’epoca,
ma è incredibile per un uomo che era così rigido e compulsivo riguardo qualsiasi altra
cosa.”
H. : “Forse sentiva che il suo impegno politico poteva fargli piacere in qualche modo,
renderlo orgoglioso. Permettergli di riconoscerla in modo più pieno.”
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