Le sue vecchie paure che io colludessi con i suoi problemi d’immigrazione o che la
indirizzassi lontana da una prospettiva idealizzata della lotta sud africana, hanno
ceduto davanti alla sua esperienza della mia negoziazione, complessa e in via di
sviluppo, di stati del sé conflittuali e hanno calibrato le articolazioni di questi
spostamenti, anche nel trovare lo spazio per un’articolazione di affetti ed esperienze,
in precedenza senza nome, se non addirittura non concepite e contraddittorie , incluse
le sue prime convinzioni a proposito di sud americani di lingua inglese ed ebrei.
In un modo o nell’altro, quello che è cominciato come un processo molto privato,
anche se parallelo, di demolizione dei nostri rispettivi pregiudizi e convinzioni, era
diventato accessibile ed attendibile, all’interno del nostro spazio intersoggettivo, dove
abbiamo potuto riflettere insieme su quello che succedeva tra noi.
La nostra relazione è divenuta forte e affidabile e in molti modi la nostra sensazione
di essere paradossali compagne di viaggio ci ha fornito uno spazio in cui afferrare
molte cose insieme.
L’opzione di ritorno in Sud Africa attualmente è meno pressante, certamente meno
coercitiva.
Qualsiasi decisione venga presa seguirà più probabilmente un percorso riflessivo di
scelta influenzato sia dal senso di essere autrice delle proprie azioni sia dal suo
desiderio.
Nell è stata un regalo per me.
A parte l’avermi fornito l’opportunità di smantellare molti miei pregiudizi e stereotipi,
mi ha permesso di ricontattare quella parte di me alla quale mi riferisco come il mio sé
amputato, di entrare in lutto per le mie perdite e di aprire nuove sfere di spazio
riflessivo che mi lega con dimensioni di me prima così segregate.
Localizzarsi all’interno dell’altro, con tutte le difficoltà e le angosce che questo evoca,
è forse l’essenza di quello in cui dobbiamo cimentarci come psicoanalisti relazionali,
nel confrontarci con le nostre risposte controtransferali e gli inevitabili punti ciechi che
così spesso precludono significati arricchiti e possibilità, sia per l’analista sia per
l’analizzando.
Questo implica un uso creativo e attento delle nostre esperienze soggettive e i nostri
stati emotivi che trascendono la parola parlata.
Stati emotivi che sorgono dentro di noi e sono implicitamente comunicati, per lo più
inconsciamente, ai nostri analizzandi, anche quando i loro stati emotivi non formulati
vengono codificati in parole che mascherano l’angoscia o la disperazione che sorgono
dentro di loro e diventano titolari dello spazio intersoggettivo della diade analitica.
Stare così intensamente attenti è difficile.
Molto difficile, ma senza questo tentativo il nostro lavoro fallirebbe nel raggiungere la
profondità e la creatività necessaria ad accendere e trasformare le vite dei nostri
pazienti e, in realtà, anche le nostre.
At Lake Scugog
Troy Jollimore
1.
Where what I see comes to rest,
at the edge of the lake,
against what I think I see