L’esperienza diadica di questo blocco che investe l’elaborazione simbolica,
induce a rileggere il concetto di alexitimia come uno stato condiviso tra paziente e
analista. L’impasse analitica sembra allora funzionare come un faro che spinge verso
le radici stesse della dissociazione, e che invita ad affrontarla e risolverla, rimettendo
così in circolo gli affetti; prima di tutto, penso, quelli dell’analista. Anna interviene con
energia, evidentemente convinta che, cito Bucci, “sintomi e azioni possono operare in
modo progressivo per implementare il processo di simbolizzazione, piuttosto che
essere regressivi, come comporta il modello della scarica e come si ritiene
generalmente”
.
Personalmente sono persuasa che, affinché “
sintomi e azioni operino in modo
progressivo per implementare il processo di simbolizzazione
”,
sia necessaria la
sintonizzazione sul loro specifico linguaggio. La percezione dello stato muscolare, tra
l’altro, focus della tecnica che Anna sceglie, è facilmente permeabile all’osservazione
consapevole, e rappresenta un compito relativamente facile anche per i meno avvezzi
a questo tipo di esperienza, e ritengo questa sia la ragione della popolarità di cui
godano le tecniche di rilassamento.
Anna però non vuole che il suo paziente si rilassi, ma che al contrario si attivi. In
effetti, l’attenzione focalizzata senza mediazioni sul blocco muscolare fa sì che il
sintomo possa integrarsi allo scambio relazionale e costituire per Mario una nuova
connotazione all’esperienza di se stesso grazie all’emergere della sensazione di
“contatto” dei piedi al suolo, mai percepita prima. Sicuramente il beneficio di questa
esperienza va ricercato anche nel reale senso di sollievo dato dal rilascio della
tensione muscolare, ma probabilmente l’esperienza fisica di ancoraggio alla realtà
diventa “prova” per Mario della consistenza del proprio Sé, per cui anche l’agire e
l’incidere sulla realtà diventano fatti possibili.
Per quanto spesso emerga spontaneamente e consequenzialmente al cambiamento
di uno stato, personalmente non penso che la referenzialità sia la vera ragione del
cambiamento. Usando una metafora, l’equilibrio che ci consente la stazione eretta,
non lo otteniamo perché conosciamo nominalmente tutti i componenti somatico-
viscerali responsabili di questo processo o del suo fallimento. Penso sia stata
soprattutto la conquista di
nuove
risorse e di una
nuova esperienza,
che nel caso di
Anna e Mario sono generate dalla focalizzazione sullo stato somatico
,
a fare luce su
una visione prospettica del Sé e a incidere maggiormente sul cambiamento. Dal
momento in cui la nuova esperienza è generata, esplorata e ampliata
insieme e grazie
ad un altro
, diventa anche possibile identificare quelle parole di cui si condivide il
significato. La condivisione verbale in sé non genera, piuttosto
riconosce
e
legittima
il
senso di consistenza di sé.
i
Bucci W.,
Psicoanalisi e scienza cognitiva. Una teoria del codice multiplo,
Giovanni Fioriti Editore, Roma,
1999., pg. 202
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