L’autenticità quale proprietà possibile del nostro agire terapeutico può sostenere, a
mio modo di vedere, la riappropriazione e la riorganizzazione di una soggettualità più
autentica nel paziente.
Autenticità è poter scegliere, è la percezione che la nostra esperienza è creata da noi
piuttosto che accadere a noi e in noi. Il senso di una esperienza autentica passa dalla
sensazione che quello che capita nel mondo intorno a me e con me e quello che capita
in me in quel mondo, è qualcosa che ho “scelto”, qualcosa di cui ho responsabilità e
libertà, piuttosto che qualcosa che mi ha scelto, di cui sono 'scelta' (sapendo che si è
sempre un po’ 'scelti' dalla nostra soggettività situata e contestuale) (Frie 2011).
Quando tutto ciò viene meno, si impone un senso di inautenticità poiché la percezione
della soggettualità si appiattisce su quel “si” del “si dice”, del “si fa” di matrice
heideggeriana che deriva dai vincoli affettivi di tipo semantico, sintattico e pragmatico
soggiacenti la costruzione e la percezione della propria soggettività in coerenza con gli
obblighi, le necessità e gli agganci affettivi mediati dalla sicurezza di un legame che
non può essere sciolto. L’autenticità mi permette di vedere e cogliere la mia
soggettività in azione e dire: “Quello sono io”.
Seguendo Mitchell (1993) potremmo anche affermare che l’autenticità non risiede
unicamente nei contenuti di ciò che sento o faccio in un determinato momento, ma
“nella relazione tra ciò che sento e faccio e la configurazione spontanea e il flusso
della mia esperienza in quel momento”.
Una soggettualità autentica mi spinge verso la percezione di un me in azione come
adeguato al contesto esterno interpersonale e al contesto interno emotivo, non “fuori
posto”, “forzato”, “artificioso”, “fuori sincronia” dal punto di vista interpersonale ed
emotivo.
Il senso di autenticità e di inautenticità è collegato in modo complesso alle
trame intricate dell’esperienza in quanto composti di molteplici versioni del
sé. Ciò che può sembrare autentico nel contesto di una versione di sé può
essere del tutto inautentico rispetto ad altre versioni. (Mitchell, 1993,
p.144)
Da questa prospettiva la funzione di connessione tra soggettività e soggettualità
dell’autenticità è di carattere prettamente epistemologico.
La qualità autentica del mio essere con l’altro, del mio agire e delle mie azioni (parole,
pensieri, affetti, comportamenti, atteggiamenti, ...) introduce un rapporto interessante
tra la conoscenza e la coscienza del ‘reale’, del ‘fuori’, del ‘non-me’ e la costituzione
ontologica di ‘me’, ‘del me’, di ‘me stesso (soggettività) come me stesso’ e di me
stesso che sono io che mi sento io e che sento di essere, io, me stesso, quello che
sono (soggettualità).
L’autenticità sembra porre un limite nel medesimo tempo trovato e imposto, ma
anche cercato, attraverso un confine tra me e l’altro, poiché differenzia un dentro da
un fuori, dando garanzia affettiva che il fuori è vero, reale, spontaneo.
Maurizio Ferraris (2012) nel suo libro Manifesto del nuovo realismo parla di “realtà
incontrata”. Discutendo del “reale” introduce il concetto di “inemendabilità” di questa
dimensione, del suo valore ontologico a priori rispetto alla costruzione epistemologica
che cerca di comprenderla.
L’inemendabilità è il
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