di comunicare insight e comprensione. Il suo compito fondamentale è invece
comprendere quanto forte sia l’influenza inconscia del paziente su di lui e far leva sulla
consapevolezza di questa influenza e dello scompenso da essa provocata per cogliere
aspetti dell’esperienza del paziente che egli non può in alcun modo esprimere a
parole. Buona parte dell’esperienza con cui è alle prese l’analista in queste circostanze
è inespressa, come ogni esperienza dissociata … il terapeuta deve sempre chiedersi
cos’altro
che non sa potrebbe stare facendo o dicendo … ciò che stiamo cercando non
esiste finché non lo troviamo. Dobbiamo arrivare a conoscere una parte della nostra
soggettività che non era ancora presente nella nostra mente finché non si è creata
nell’inconscia reciprocità con il paziente … Gli enactment che non ci uccidono, ci
rendono più forti” (D.Stern, 2008, pp. 388 e segg).
Insomma, in certi casi il terapeuta è chiamato ad attraversare un territorio poco
esplorato di se stesso che, particolarmente in presenza di affetti d’odio, potrà condurlo
in luoghi anche assai lontani da quelli del riconoscimento reciproco attraverso il
rispecchiamento.
11. Odio e bontà
Qui, prima di tutto, ho dovuto imparare che anche la bontà può celare un’insidia. Mi
sono chiesto, anche, se non ci potessero essere implicazioni con la “missione” curativa
del medico, con aspetti della la sua dedizione nel prendersi cura dei pazienti.
G.Liotti e B.Farina (2012) sottolineano in: Sviluppi traumatici, gli inevitabili pericoli
connessi all’attivazione del sistema motivazionale dell’attaccamento nei disturbi
appartenenti allo spettro degli sviluppi traumatic
i
i
.
Ma è J.P.Sartre (1943) a ricordarci che: “l’odio non appare necessariamente quando
subisco un torto. Può nascere, invece, quando ci si può aspettare della riconoscenza,
cioè come risposta a un beneficio. L’occasione che sollecita l’odio è semplicemente
l’atto dell’altro che mi ha messo in condizione di subire la sua libertà. Questo atto è in
sé umiliante, in quanto rivelazione concreta della mia oggettività strumentale di fronte
alla libertà altrui” (2009, p. 474).
Inoltre, l’affiorare di ogni nuova speranza di intimità, in chi conosce soprattutto
attaccamenti insicuri, risveglia il timore della ritraumatizzazione. E’ questo il
paradosso iniziale di molte terapie.
12. La necessità di una risposta all’odio
Gli psicoanalisti, da sempre, ma sicuramente da D.Winnicott in poi, sanno che per un
attaccamento sicuro è bene non chiudere il passo ad ogni espressione avversiva. Non
mi riferisco certo all’inopportunità di rispondere all’odio con l’odio, ma alla possibilità
di segnalare in qualche modo il fatto di aver ricevuto un urto, un danno; la possibilità,
almeno, di dire: “Ahi! Mi hai fatto male!
ii
.
13. L’odio come amore spietato.
i
Sullo stesso tema si potrebbero anche vedere le difficoltà incontrate da J:Breuer con F.Nietzsche, nella
ricostruzione romanzesca di Y.D.Yalom (2006).
ii
Al riguardo, vedi J.Lichtenberg (2008, pag.112) ma anche P.Fonagy e coll. (2005) sull’ipotesi della
“marcatura” nel rispecchiamento di emozioni negative.
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