persecutore gli risulterà ignota. Un resoconto delle vicende che, in modo
apparentemente inspiegabile, hanno condotto alla rottura e quello dei successivi
tentativi di riparazione, spesso mancati, messi in atto da entrambi, non può essere
riportato per ben comprensibili motivi, ma può esserlo il percorso riflessivo che ne ha
consentito la risoluzione.
3. Luigi: l’esperienza di non essere visto.
L. è stato allevato in un clima d’odio alimentato dalla delusione della madre e dalla
distanza del padre. E in quel clima L. ha imparato ad odiare. I genitori devono essersi
profondamente odiati l’un l’altro, mentre lui cresceva nella sicurezza asfissiante
dell’amore della madre e nella vana ricerca di prove dell’amore del padre.
I genitori di L. si erano separati quando lui aveva 5 anni. Da allora, solo
sporadicamente aveva incontrato il padre; e anche quei pochi incontri non erano stati
felici. Dopo la separazione il padre era andato ad abitare in un appartamento del
palazzo di fronte a quella che era stata la casa coniugale e, col tempo, si era anche
ricostruito un nuovo nucleo familiare.
Immagino L. “preso” nel desiderio della madre, che odia il marito per averla
abbandonata. Sulla base dei suoi ricordi, immagino anche di vedere L. che, alla
finestra, attende il rientro del padre dal lavoro.
Sicuramente lo aspetta col cuore in tumulto: lo detesta quanto lo desidera. Sa che a
quell’ora rientra per riabbracciare quell’altra donna e quegli altri figli. Al riparo delle
tende, senza farsi vedere, lo guarda da lontano, ma il padre non ricambierà mai quello
sguardo. L. è smarrito di fronte all’altro irraggiungibile.
Ma ecco che già non guarda più il padre con la segreta speranza che, infine, gli rivolga
almeno uno sguardo. Ora L. crede di sapere che se anche il padre lo guardasse, se
perfino gli domandasse perdono, lui è condannato per sempre ad essere tagliato fuori
dalla sua vita. Pensa di aver capito fino in fondo di non appartenergli, che non c’è
posto per lui, non c’è e non c’è mai stato. Escluso, per principio e per sempre. Ora
trabocca d’odio. Così nasce un persecutore?
E, sullo sfondo di questa scena, ci sono forse anche altri sguardi che doppiano i suoi,
sguardi a lui ben noti; quelli antichi, rabbiosi e addolorati di una madre abbandonata e
tradita.
Comunque sia, a questo punto, L. esce di scena come figlio nostalgico, per rientrarvi
trasformato in furia. Credo che stia pensando: da adesso in poi godrò ad esserci senza
che l’altro mi veda; lo forzerò a tenermi a mente, a guardarmi senza che lui lo voglia;
trasformerò a forza in presenza la sua assenza; gli farò sentire con l’odio la mia
incombenza, lo obbligherò ad esserci stando in mio pugno. E’ così che nasce un
persecutore?
Intanto va sull’altro lato della casa, si affaccia sul pianerottolo delle scale esterne. E’
abbastanza alto e, per un attimo, guarda giù. Nelle mani ha già una lametta: e si
taglia. Ma non affonda la lama, forse solo perché ora sa come farsi giustizia.
4. La conquista terapeutica di uno sguardo che riconosca e confermi.
Questa riflessione è dunque condotta sul filo dello sguardo. Un guardare e non essere
visti, maligno, trascina il paziente in esperienze relazionali di dominio e in tentativi di
prevaricazione dell’uno sull’altro, in cui sono possibili solo l’assunzione del ruolo di