compagni, qui, sono quelle versioni del sé di Mario agiscono braccandolo nell’angolo
del senso d’impotenza, immobilizzandolo e tenendolo legato all’esperienza del trauma
attraverso l’implosione del dolore. Il trauma, intuisce Anna, è annidato tra le fibre
muscolari di Mario, e attraverso esse la pena dell’abuso subito è costantemente
rimembrata. Non “ricordata”, né “rammentata”. Proprio “rimembrata”. Rappresentata
cioè dallo stato delle membra che, in questo caso, sono irrigidite e doloranti. E Anna
decide di coinvolgere direttamente le membra di Mario nel discorso analitico.
Tenendo nella mente uno scenario in cui gli eventi della relazione analitica sono
frutto di un processo di co-costruzione, la scelta di Anna nasce dall’intreccio delle
risorse comunicative di entrambi i partner. I modelli della prima formazione clinica
determinano profondamente il modo in cui Anna osserva Mario e la loro relazione
analitica, per valutarne bisogni e possibilità. Anna si è formata in psicoterapia dei
disturbi psicosomatici – percorso che abbiamo peraltro condiviso - e ad alcune
tecniche a mediazione corporea, applicate durante la sua lunga presenza in un reparto
di Psicoprofilassi Ostetrica. Dalla soggettività della sua esperienza, Anna “vede”
l’impasse rappresentato nel continuum tra il penoso senso di impantanamento, e il
doloroso blocco muscolare. Del primo polo, la coppia analitica ha avuto modo di
parlare lungamente, senza che tuttavia ciò abbia condotto Mario oltre al suo blocco.
Quando il discorso terapeutico, improntato sullo scambio verbale, esaurisce le parole
disponibili a esprimere l’esperienza, il
click
sembra scattare prima di tutto in Anna,
che introduce nella stanza un nuovo linguaggio attivando così un altro livello di
comunicazione, quello somatico. Ora lo scambio relazionale sull’impasse è tra un’altra
versione del sé terapeutico di Anna e la versione muscolare del senso di impotenza di
Mario.
Anna introduce un viraggio nella tecnica esplorativa provocando una “rottura”
nella continuità del codice linguistico verbale per dare spazio all’espressione somatica.
Come una sorta di grammatica del discorso attraverso cui il linguaggio terapeutico si
articola, la tecnica si piega in questo caso al rispetto delle regole della lingua con cui è
espresso il messaggio.
Come ricorda Anna, Ferenczi (1928) ha ritenuto che l’“elasticità della tecnica“
fosse utile al superamento dell’impasse. Nel concetto di “elasticità”, dopo l’incontro
con Groddeck nel 1921, Ferenczi include un diverso modo di ascoltare il corpo del
paziente e i suoi specifici contenuti, discostandosi così dalla visione della prima
psicoanalisi in cui il corpo, vincolato alla gratificazione pulsionale, è antagonista allo
sviluppo della coscienza e vittima, per usare una definizione cara a Donna Orange
(2011), dell’”ermeneutica del sospetto”.
Oggi, la ricerca scientifica supporta in misura sempre maggiore la
prospettiva di
un’interconnessione integrale tra la mente e il corpo e, finalmente, anche un’idea non
riduttiva di
coscienza incarnata nel corpo e nei suoi processi
. Sistemi distinti, ma
paralleli e sincronici, elaborano l’informazione verbale e non-verbale, processando e
codificando il medesimo stimolo percettivo in formati differenti. Wilma Bucci (1997) è
uno dei referenti più autorevoli per questa prospettiva.