sensazioni corporee che, poiché sperimentate come tagliate fuori dal resto del sé,
ritornano come sintomi fisici, o flashback, privi di significato cognitivo. L’intervento di
Anna tenta di stabilire un contatto con queste narrazioni somatiche nel loro stato
corporeo in modo che in un tempo successivo, possano essere messe in parole.
Questo è il modo in cui Anna accede all’esperienza affettiva rimasta bloccata nel corpo
di Mario, e che continua ad esercitare il suo potere attraverso i sintomi somatici.
Avrei molte domande riguardo a quello che è poi accaduto in questo trattamento una
volta che le cose hanno "cliccato", e spero che avremo tempo nella nostra sessione
per esplorarle. Per ora mi limiterò ad alcune riflessioni riguardo a ciò che io considero
essere un
enactment
in questo trattamento, ossia un evento dissociativo condiviso che
ha permesso di affrontare nel contesto della relazione l'esperienza traumatica di
Mario, e la sua incapacità di gestire e regolare le emozioni e le memorie, a livello del
pensiero e del linguaggio. Per Mario, il linguaggio attiva il rivivere dell’emozione
traumatica dissociata. Anna ingegnosamente by-passa la lingua e lavora direttamente
con le emozioni incarnate nel disagio somatico; sposta la sua attenzione e quella di
Mario al suo corpo, e si immerge in un esercizio di rilassamento che si sperimenta
a
due,
e che determina un senso condiviso di rappresentazione, stabilendo un
collegamento tra i ricordi incarnati e dissociati di Mario, e il presente vissuto con Anna
- un ponte costruito fra due poli all'interno del contesto relazionale.
Esplorare la comunicazione quando è organizzata sotto forma di enactment non è
facile poiché, per i pazienti sopravvissuti al trauma, lo sforzo di dare continuità alla
propria individualità è sempre in gioco, e la possibilità di dis-regolazione emotiva e di
disorganizzazione non è mai troppo lontana.
Questo mi porta a pensare all'esperienza della vergogna, e alla sua particolare
risonanza affettiva all'interno di psiche e soma quando essa è collegata ad eventi
traumatici. Neuro-biologicamente, la vergogna innesca una risposta dissociativa volta
a prevenire la frattura della psiche. La vergogna si accompagna al senso imprevisto di
essere esposti, e incapsula un evento che ha violato il Sé. In un trattamento analitico
che si basa sulle parole, la vergogna è difficile da evitare, perché il parlare del trauma
comporta che lo si debba rivivere e ri-esperimentare. In questo modo l’analista è in un
dilemma: come processare l’esperienza traumatica senza ri-traumatizzare il paziente?
Senza che il paziente riviva la vergogna? La vergogna è una parte integrante di
qualsiasi lavoro con il trauma, e non possiamo evitarla. Quello che possiamo fare è
rimanere consapevoli e rispettosi della sua frizione dolorosa sui nostri pazienti;
possiamo temporaneamente contenere la vergogna per i nostri pazienti, mentre loro
ri-visitano il passato - e questo é un esempio di cosa intendo con la metafora del
costruire ponti. Credo che Anna ci abbia presentato l'esempio di una tale costruzione
di ponti. La sua introduzione alla tecnica di rilassamento progressiva di Jacobson per
affrontare l'esperienza chiusa nel corpo di Mario, si costruisce attraverso la sua
sintonia con l’esperienza di Mario e con l'eco della risonanza, che si attiva attraverso
la funzione di contenimento e di potente regolatore dell'esperienza emotiva esercitata
dalla voce.
Sempre più spesso, la ricerca clinica e neuro-biologica convalida l'idea che il