Le parole con cui Marta descriveva l’insegnante d’arte delineavano un femminile
attento, sostenitivo e rispettoso delle sue iniziative, tanto da permetterle, forse per la
prima volta, di stendere i colori e di organizzare le forme sulla tela lasciando
liberamente fluire i movimenti del suo corpo. Mano a mano che la competenza
nell’utilizzo dei materiali artistici si andava affinando, si accorse, non senza un certo
stupore, del talento che le sue tele mettevano in evidenza, e me ne parlò con un
delicato orgoglio.
In quello stesso periodo, Marta trascorse una breve vacanza insieme ad un’amica e
alla figlia di quest’ultima. Aveva già vissuto un’esperienza analoga l’anno precedente,
ma questa era la prima volta in cui lei avrebbe condiviso la stanza con qualcuno. Nella
seconda notte di questa vacanza Marta fece il seguente sogno: “Ero intenta ad
osservare la mia amica, e tra me e me pensavo che era davvero una donna di valore”.
Questo sogno sembrava rappresentare un riconoscimento esplicito del valore del
femminile e credo anche un riconoscimento implicito del suo stesso valore.
Tornando a quanto Marta mi raccontava dell’esperienza in atelier, un giorno, dopo
aver detto che nei suoi disegni erano comparsi diversi volti femminili, mi parlò della
sua ultima tela. Mentre era intenta nella ricerca di una particolare mescolanza di
colori, ad un certo punto intravide un volto. Chiese conferma alla sua insegnante:
l’insegnante le confermò la bontà della sua percezione, ma la invitò anche a non
abbandonare quella ricerca cromatica così interessante. Ci soffermammo brevemente
su questa interazione con l’insegnante e sull’effetto che aveva generato in lei.
Sentendo il conforto che Marta aveva vissuto, preferii non fare nell’immediato altre
domande. Tra me e me sentivo però che il suggerimento dell’insegnante era un
elemento da non trascurare: e lo affidai alla mia memoria.
Riflettendo in seguito mi trovai a ripercorrere alcuni cambiamenti comparsi
recentemente nell’esperienza di Marta: a differenza di un tempo, ora il riflesso del suo
corpo allo specchio non la turbava più; cominciava a relazionarsi con gli altri a partire
da un piano più paritario; poteva finalmente esprimere la propria creatività e si
riconosceva artisticamente dotata; in sogno aveva attribuito al femminile un nuovo
valore; i volti che animavano le sue tele diventavano sempre più numerosi; poteva
contare su un’alleata – l’insegnante d’arte – intenzionata a proteggere il legame tra lei
e i suoi lavori artistici. Questi eventi sembravano accordarsi con l’ipotesi di
un’evoluzione identitaria in atto. Così, si delineò con più chiarezza una domanda: in
che modo la nuova iniziativa di Marta, la ricerca cromatica, poteva accordarsi con la
spinta evolutiva da me ipotizzata?
Ad un certo punto mi tornò in mente un’immagine che Marta mi aveva proposto nel
tentativo di mettere a fuoco una difficoltà che tendeva a ripresentarsi nel corso delle
sedute. La difficoltà era la seguente: mentre eravamo intenti a parlare di una cosa,
Marta virava verso un’altra cosa, dissolvendo in un sol colpo tutto ciò che stavamo
costruendo. Le “cose” sparivano in un lampo e non c’era modo di recuperarle. Una
volta mi ritrovai addirittura a pensare che per Marta fosse ormai diventato protettivo
far sparire “il gattino” prima di arrivare a provare dell’affetto per lui. Affezionandosi a
qualcosa o a qualcuno, non rischiava forse di segnalare al “sabotatore interno” quale
legame attaccare? Era ormai inconsciamente convinta che fosse il suo stesso affetto
ad esporre il destinatario di tale sentimento ad un attacco sadico mirato? I nostri