Accade poi nel tempo che mi faccia il “dono” di vedermi attraverso i suoi occhi
(Bromberg, 2011) dichiarando che mi sente “smarrita”, e io lo riconosco unendomi a
lui nell’affrontare ognuno la propria vergogna per esistere reciprocamente come
soggetti.
Ma dopo questi piccoli cenni alla nostra storia insieme propongo alla sensibilità del
lettore due sogni di Emanuel che trovo evocativi del nostro rapportarci.
Il primo sogno è il seguente:
C’è una bambina di un anno, che però parla, e gli dà un regalo. Emanuel è contento.
Si dirige verso una strada in cui è parcheggiata una motocicletta con accanto la sua
borsa, cui è però attaccato un pupazzo di tipo natalizio. Inizialmente pensa che non
sia la sua borsa, sembra anche più nuova, ma poi sì, riconosce che è la sua perché
quel regalo è il regalo della bambina. Si avvicina un signore, che è il proprietario della
motocicletta, Emanuel ha il timore di essere scambiato per un ladro e si allontana
.
Quando me lo ha raccontato mi sono emozionata pensando me come quella bambina
“piccola che però parla”. E solo in seguito ho riflettuto a quanto non negando la mia
fragilità abbia potuto aiutarlo a contattare la sua fragilità.
Ed ecco il secondo sogno:
È in una sua casa, ma la casa è buia, con tutte le finestre chiuse e non abitabile.
Allora esce e va verso un’altra casa molto bene illuminata e dentro alla quale ci sono
varie persone. Tra le persone c’è una signora, non giovane, che li vuole portare allo
zoo. La proposta è bizzarra ma salgono tutti su un’auto, la signora guida, e arrivano in
un luogo dove c’è un grande prato verde, illuminato dal sole, e su cui gli animali
vagano in piena libertà. La sensazione che ne ha è di grande calore e senso di vita. Lo
colpisce un leone piccolo, un cucciolo, ma un po’ magro. Vorrebbe prenderlo in
braccio, adottarlo, però ha timore perché lì accanto c’è la madre. Il cucciolo dice:
“Prendimi perché sono orfano”
.
Emanuel si esprime sul leoncino, vede chiaramente se stesso, un se stesso, dice,
“orfano di soldi, di socialità, di cultura, di affetti, di salute”, non sa dire di cosa non sia
orfano. La sua emozione mi emoziona, avverto una transizione, e penso a quanto più
orfano debba sentirsi su quel grande prato che parla di corpo, di calore, di vita, e a
quanto abbagliante possa essere tanta luminosità dopo il buio non abitabile del suo sé
corporeo.
Non viene esplicitato, ma certo mi piace pensarmi nella signora che porta tutti allo
zoo.
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