Lo spazio estetico
Nietzsche, impegnato nella ricostruzione di un nuovo ordine tra le macerie del suo
tempo – come sappiamo di profonda crisi e mutamento – ci dà un suggerimento su
come far tesoro di queste “ore”: «I greci impararono a poco a poco a
organizzare il
caos
, concentrandosi […] su se stessi, vale a dire sui loro bisogni veri, e lasciando
estinguere i bisogni apparenti. Così ripresero possesso di sé» (Nietzsche. 1871, P.
354-355). Riuscire a distinguere tra i “bisogni veri” e i “bisogni apparenti”
tra i
desideri autentici e i desideri mimetici, rientra a pieno titolo tra le sfide che la vita ci
mette di fronte e a cui nella nostra professione cerchiamo di rispondere dando voce
alle verità ambigue, contraddittorie, o perfino tragiche incapsulate in ognuna di queste
istanze individuali. La costruzione di questa sorta di “prosa integrale” è, a mio parere,
funzionale all’esplorazione e alla comprensione delle memorie procedurali e delle
memorie implicite connesse a tali bisogni o desideri. Queste memorie rappresentano
forme di adattamento – e talvolta vere e proprie strategie di sopravvivenza –
elaborate ed assimilate dall’individuo all’interno di specifici scenari esistenziali. Per
comprendere tali memorie è quindi necessario riconnettersi ai luoghi di insorgenza di
quelle stesse strategie al fine di ricontattare i significati originari delle componenti
emotive, cognitive e corporee che ancora influenzano l’organizzazione dell’individuo.
Avanzare lungo queste direzioni può talvolta condurre sulla soglia di laceranti
curvature esistenziali che custodiscono frammenti, macerie, unici “resti” di ciò che è
stato sconfitto, ferito, a volte persino sradicato. Attraversare questa soglia significa
entrare nello spazio estetico. Tanto il tragico quanto il sublime trovano qui una dimora
pronta ad accoglierli. Lì, forse, si potrà «sentire come cade una foglia» (Rella. 1991, P.
125).
Walter Benjamin è riuscito a scorgere nelle macerie della sua vita e dell’epoca in cui
visse, la figura di un passato oppresso, distrutto, vinto, ma non del tutto annientato.
Un passato che quindi può ancora essere riscattato.
Questo filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore, ha fatto della «lotta per il
passato oppresso» (Benjamin. 1966, P. 80) il suo progetto di vita, dedicandosi
instancabilmente all’obiettivo di «restituire al soggetto il tempo e la speranza» (Rella.
1981, P. 130). Per «giungere allo spessore dell’esperienza» (Benjamin cit. in Rella.
1981, P. 147), Benjamin fa appello ad una
nuova dialettica
che consenta anche a ciò
che era stato vinto dalla ragione dei potenti di farne parte. L’autore non si sottrae al
compito di indicare a quale strumento affidarsi per liberare la storia dallo “sguardo
semplificatore dell’abitudine”. L’elemento chiave del suo metodo d’indagine è
l’
immagine dialettica
, autentica cifra dell’«irruzione improvvisa della coscienza
risvegliata» (Benjamin. 1966, P. 112):
secondo l’autore, infatti, «immagine è ciò in cui
quel che è stato si unisce fulmineamente con l’adesso […]. In altre parole: immagine è
i
Un’esemplificazione della difficoltà nel distinguere i bisogni “veri” da quelli “apparenti” può essere la
seguente. De Botton (De Botton cit. in Amadei. 2005, P. 47) ipotizza che il bisogno dell’adulto di status,
di potere, di fama, costituisca una possibile strategia per riappropriarsi illusoriamente delle mancate
soddisfazioni originarie del bisogno di riconoscimento, un bisogno che potrebbe essere stato sacrificato in
nome della sicurezza del legame di attaccamento. Se quest’ultimo bisogno – la sicurezza del legame di
attaccamento – continua a prevalere sulla soddisfazione di altri bisogni – ad esempio quello di
riconoscimento – la persona potrà instaurare relazioni disfunzionali tese essenzialmente al mantenimento
della sicurezza a detrimento della ricerca di soluzioni adeguate per il riconoscimento e il soddisfacimento
di altri bisogni presenti nel proprio scenario interiore.