religiosa contrapposti alla concezione archetipica della psiche individuale di Jung,
appaiono decisivi (Karr, 2008, p. 15). Essi sottolineano con forza la necessità
dell’incontro per la trasformazione del vissuto della trascendenza. A questo stesso
tema dell’incontro e della dimensione relazionale dell’esperienza religiosa fanno
riferimento psicoanalisti di ispirazione assai diversa nell’ affrontarne i risvolti clinici.
Non può esservi processo d’individuazione compiuto senza il desiderio e la ricerca di
nuove appartenenze, in cui consolidare il senso di sé e confermare un’immagine più
benevola dell’altro. Diventa così possibile lasciarsi alle spalle affiliazioni che
assoggettano e costringono l’esperienza, siano esse fatte di legami familiari o di
comunità confessionali Questo genere di legami vennero chiamati “incestuosi”da
Fromm (1951), e “perversi”, da Ancona che così connotò l’integralismo confessionale
della Chiesa Cattolica e l’ intolleranza “scientifica” verso la religione della Società
Italiana di Psicoanalisi.
Da questo retroterra teorico scaturiva il mio atteggiamento positivo, a volte
immediato, a volte faticosamente conquistato, come nel caso di Brigitta, verso i
contenuti spirituali espressi da queste pazienti. Ma credo sia stata soprattutto la forte
consonanza tra i miei stati d’animo di quegli anni, che il termine contro-transfert non
riesce pienamente a rappresentare, e l’incessante ricerca di ciascuna di loro per
significati diversi, più profondi, o semplicemente più umani della loro fede e di
relazioni che potessero dar loro voce. Nel prendere parte alla loro ricerca riuscii a
entrare in contatto con il mio stesso bisogno di spiritualità e nel rispecchiare il loro
lasciai si rispecchiasse il mio e prendesse forma come un convincimento indefinito, ma
saldo, in un baleno vitale all’origine della capacità di ripresa che la matrice biologica
propria di ogni essere vivente trascrive nell’anima dell’uomo come inestinguibile
capacità di ritrovare la speranza. Ne sono stata profondamente grata e la gratitudine
reciproca ha rafforzato in ciascuna di noi quello che Fromm identifica come uno degli
elementi propri ad ogni esperienza religiosa: “il senso dell’unità […] rispetto agli altri
uomini e a tutto ciò che ha vita […] C’è in tale condizione un empito di orgoglio e di
fierezza e insieme l’umiltà che deriva dal sentirsi una docile fibra nel tessuto
dell’universo” (1950, p.80-81).
Sommario
Il resoconto clinico di tre diverse esperienze terapeutiche, rivela le possibilità di
trasformazione che il dialogo sul vissuto religioso può avere rispetto alla dimensione di
sé e alle sue implicazioni relazionali, quando i contenuti di fede siano accolti come una
declinazione centrale della personalità e non come una forma di regressione ad uno
stadio infantile. Un radicale cambiamento del modo di considerare il rapporto tra
inconscio e coscienza a partire dalla valorizzazione dei processi primari come luogo
della creatività e della stessa spiritualità (Winnicott, Loewald) permette di considerare
l’esperienza religiosa come dimensione “transizionale” , in cui i confini tra soggetto e
oggetto si attenuano ma non scompaiono, per dar luogo ad un rafforzamento del sé,
delle possibilità di relazione, del senso di appartenenza in una dimensione di libertà
personale. Perché ciò avvenga è necessaria una consonanza tra la disposizione
personale del terapeuta e quella del paziente, che vada al di là dei contenuti specifici