nel contesto del sistema di relazioni di ciascuno e nell’esperienza di sé in rapporto al
mondo, di cui la relazione con il divino rappresenta uno specchio, riproducendone,
accanto a dimensioni di patologica sofferenza, anche le possibilità di trasformazione.
Quest’ ultimo elemento è stato determinante nel mio modo di affrontare questi temi
all’interno del lavoro analitico; da esso è derivato un accoglimento delle convinzioni
religiose che prendevano forma nel dialogo terapeutico teso a sottolineare, entro la
cornice di una risonanza empatica, le potenzialità di crescita e di trasformazione che
quei temi evocavano. Ma questo passaggio dalla traslazione, intesa come incontro e
spazio condiviso, alla trascendenza (così recita il sottotitolo di un testo
sull’argomento:
Psychoanalysis and Religion: from Transference to Transcendence,
Jones, 1991) mi è stato reso possibile dal particolare momento che stavo vivendo e
dalla disposizione interna verso una spiritualità che nelle mie pazienti sentivo affine
alla mia, perché del tutto estranea ad atteggiamenti confessionali e alle convenzioni
del vissuto religioso. Fu proprio l’occasione offertami dall’esperienza pressoché
contemporanea con queste pazienti di diversa fede religiosa, cattolica, protestante ed
ebrea, a rivelarmi quale fosse realmente il mio atteggiamento non solo clinico ma
anche personale riguardo a questi contenuti. Il resoconto clinico di questo mio
intervento riguarda dunque tre esperienze terapeutiche iniziate in anni assai difficili,
durante i quali sentimenti di dolore e di angoscia mi avevano spinto ad offrirmi come
volontaria nel lavoro di assistenza svolto all’interno di una parrocchia romana. Una
serie di eventi assai drammatici nella mia famiglia avevano suscitato in me un acuto
bisogno dell’atmosfera compassionevole di una comunità religiosa, anche se non ne
condividevo la fede e la prassi devozionale.
Ho incontrato la prima di queste pazienti nel centro Caritas della parrocchia, e le altre
due privatamente nel mio studio. Un intimo dialogare con Dio cui faceva da riscontro
un difficile rapporto con la società nel suo complesso e con le loro rispettive comunità
religiose, costituivano dimensioni essenziali del loro vissuto e della loro
rappresentazione di sé. Trassi dal continuo confronto con la loro travagliata esperienza
di ricerca di valori spirituali e di relazioni che potessero sostanziarli, un profondo
beneficio che mi permise allora di superare momenti di dolore e di sconforto e mi
portò più tardi a scoprire come la centralità dell’esperienza religiosa nella clinica
psicoanalitica potesse appoggiarsi su una riflessione teorica condotta fin dagli anni
quaranta e cinquanta da autori laici, come Fromm, e da psicoanalisti credenti, come
Guntrip, e fosse venuta ad arricchirsi in seguito soprattutto a partire dalle radicali
revisioni teorico-cliniche degli anni settanta.
TERESA
:
ESTASI E DANNAZIONE
La prima paziente, la Signorina Teresa, mi fu descritta dalle volontarie della Caritas
come “una persona difficile”, che il gruppo di accoglienza non sapeva come trattare.
Mi dissero che avrebbe potuto vedermi solo nella tarda mattinata e non potei evitare
un leggero moto d’irritazione nel sentirmi convocata ad un’ora precisa senza alcuna
possibilità di discuterla.
Al mio arrivo nell’ufficio della Caritas la trovai seduta sulla panca dell’atrio in una
posizione rigida e compunta: “lei è la dottoressa Ingrid” mi disse senza alcuna
intonazione interrogativa. Nel sentirmi riconosciuta con tanta sicurezza quella
sensazione di fastidio scomparve per lasciare emergere un’intensa curiosità per quella
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