Aron, in Menti che si incontrano dice “Qualunque sia la cosa che l'analista svela, è il
suo atteggiamento verso questo svelamento a determinare il fatto che l'intervento
porti il Paziente a sentirsi sempre più sicuro o sempre più in pericolo” (Aron L.
2004,p.285)
Credo abbia a che fare con questa sicurezza sperimentata il cercare, da parte di Alice,
di crearsi e testimoniare un'appartenenza aggiuntiva, cioè un mondo di relazioni
aggiuntivo, colorato di affettività, il marito, l'analista, radici di una “patria” nuova.
Il secondo atto, la riunione, è pervaso dal senso di un'intimità più libera e di sostanza
diversa. “Questa dimensione di intimità -la condivisione interpersonale- comprende
esperienze di umanità condivisa, intensa reciprocità, affetto, somiglianza e perfino
amore tra analista e paziente”
,
dicono gli Shane.( Shane M., Shane E., Gales M.,
2000,p.12)
Margherita accoglie l' iniziativa di Alice di entrare nella sua soggettività con uno
strumento, la carta astrale, che appartiene ad un mondo tenuto separato, fuori dalle
regole, che implicitamente l'analista ha convalidato come creativo e non folle. Mi
sembra che in questo “permesso” anche Margherita convalidi la sua parte creativa e in
questo, forse, è la cura.
Il lavoro di Margherita , e intendo non solo questa relazione, culmina nell’esperienza
extra analitica verso la quale ci ha guidato descrivendo interventi, riflessioni,
mostrando, ancora una volta, la tensione ad essere conosciuta. Se è vero, come dice
Hoffman, che “ l’esperienza del paz. non emerge dal vuoto, ma invece è in parte un
risultato di quello che l’analista fa o trasmette” ,credo si possa dire lo stesso anche per
l’analista.
Ma perché l’esperienza extra analitica ci interessa tanto? E’ una cartina di tornasole di
un’analisi ben conclusa? Non sappiamo separarci dai nostri pazienti? Forse. Ma che
dobbiamo farne del “desiderio essenziale e innato di entrare in contatto con
l’altro[….]il desiderio di conoscere ed essere conosciuti? (Aron L.,2004,p.276)
“ Attraverso la strada che mi porta a casa con una sensazione leggera: non so bene
cosa è successo in questo incontro, ma mi sento bene.”
Credo che anche in quest’ambito le osservazioni possano essere analoghe a quelle
sulla selfdisclosure, fuori di una logica che privilegi la separazione sull’unione, il risolto
o il nascosto rispetto a margini di indistinto, quale è la ricchezza dell’implicito. L’extra
analisi dell’esperienza che Margherita ci ha raccontato è ”quell” extranalisi di “quella”
coppia analitica che si è mossa in quello “spazio liminale, per dirla con Hoffman, ”che
fa emergere chiaramente la dialettica tra rituale e spontaneità all’interno del processo
inteso come tutto”(Hoffman I.Z.,2000,XI.,p.128.)
Uno spazio liminale che ci riguarda come individui, come società e cultura, in cui
“l’erranza”, l’essere tra due sponde è una condizione umana, per me in qualche modo
costitutiva, che ci porta a interrogarci sull’adesione che diamo ai contesti in cui
viviamo, ancor più in un momento storico in cui i confini vanno ripensati, in cui oltre le
patrie, c’è una Terra-patria.
Certo per me è più semplice o meno doloroso che per Margherita notare questo:
posso avvicinarmi alla sua esperienza di strappi, affiancarla, ripescando dal mio spazio
della memoria le assenze, le perdite, la malinconia, la nostalgia, in una dimensione
“come se”, che non è tuttavia la complessità del suo vissuto,
Ma è giusto concludere con la voce di Margherita: