Ma ascoltiamo Margherita, tenendo in un rapporto figura-sfondo nel suo caso clinico
temi di particolare rilevanza, quali, tra gli altri, la soggettività dell’analista, la sua
posizione e l’autosvelamento
M.
“Quando nasci trovi già un nome che ti aspetta (Safia).......Nessuno può scegliersi il
proprio nome, diciamo subito che non è una tragedia.......
Però per ogni immigrato la questione del nome è fondamentale.
La prima domanda che ti fanno sempre è: come ti chiami?. Se hai un nome straniero
si crea immediatamente una barriera, una frontiera insuperabile fra il “noi” e il “voi”.
Il nome ti fa sentire subito si sei dentro o fuori, se appartieni al “noi” o al “voi”.
....Però da quando vivo a Roma ne ho un altro: (di nome) Sofia. Che sia chiaro: non è
un pseudonimo, nel senso che non me lo sono andata a cercare. Mi è stato solo
regalato e io l’ho accettato. Non si dice che il regalo non si rifiuta?”
Così nel libro“ Divorzio all’islamica a viale Marconi” di Amara Lakhous.(Lakhous
A
.,
2012,p22.)
Da sempre ho dovuto lottare con un nome o troppo pesante o troppo diverso.
Sono nata in Argentina da un padre tedesco; mi chiamo Margarita, ma mi hanno
sempre chiamato Margaret, la traduzione di Grete, il nome della mia nonna paterna.
Non è stato sempre facile far capire ai miei coetanei che questo nome, un po’
sofisticato, non era un atto di presunzione. Oggi che vivo in Italia da 25 anni mi
chiamano Margherita.
Se il nome è qualcosa di proprio, il mio riflette una storia attraversata da tante
migrazioni e da tanti naufragi.
Sono la terapeuta.
Alice è una donna italiana che, a quasi 35 anni, ha la possibilità di cambiare paese,
migrare a seguito del lavoro del suo compagno, Franco, argentino.
Chiede aiuto, è la paziente.
Questi sono i personaggi di questa storia. La chiamo così perché si tratta di una
relazione che trascende il tempo della relazione terapeutica, racchiusa nella stanza di
analisi.
Di solito mi è difficile lasciare le esperienze con i miei pazienti dietro la porta del mio
studio; spesso, salgono le scale, entrano nella mia casa al piano di sopra e si
insinuano nella mia vita: mi fanno degli agguati, continuano a risuonare dentro di me.
E’ una storia in due atti: il primo è il racconto di una situazione particolare creatasi
all’ interno di un’esperienza analitica con i due personaggi.
Il secondo mostra un particolare modo di evolversi della relazione dei due personaggi,
a terapia conclusa, in un contesto non analitico.
Primo Atto
Alice viene da me, inviata da una collega che ha in terapia da molto tempo Franco, il
suo compagno
Alice è molto arrabbiata con F, perché non vuole sposarla e le chiede di pazientare,
fino a quando avrà più chiaro il suo destino lavorativo. Lei sente questo come un
rifiuto. Sono in un cul de sac: Franco vive l’insistenza di Alice come un ricatto, sente
che lei non lo ama, visto che ha bisogno di un contratto matrimoniale. Alice pensa che