donna vestita in modo dignitoso, i corti capelli grigi pettinati con cura, ma tanto più
anziana di quanto mi sarei aspettata – aveva più di settant’ anni, ma il suo
protendersi verso di me esprimeva un’ energia vitale che sembrava contraddire il suo
aspetto e la sua età. Mi seguì nella stanza a passi piccoli e veloci. Non appena ci
fummo sedute mi disse senza alcuna esitazione:” Sono una paziente psichiatrica,
soffro da anni di psicosi maniaco depressiva, sono stata più volte ricoverata in seguito
ad episodi acuti di delirium; da anni mi amministro da sola i farmaci con i quali ho
raggiunto una certa stabilità”. Le chiesi allora la ragione di quella richiesta di
consultazione. “Vivo malissimo a causa delle mie tortuosità e delle mie complicazioni –
mi rispose – Ho bisogno di tenere un ordine perfetto in casa, per questo non posso
uscire prima della tarda mattinata. Vivo al buio per paura che la lampadina si fulmini,
o la finestra si rompa se apro le serrande e debba far entrare qualcuno per ripararla.
Così riesco a tenere a bada il mio caos interno: la mia è una battaglia permanente per
evitare di cadere nel degrado di quelle persone che ho conosciuto durante i ricoveri.
Tutto questo mi richiede tanta energia e tanto tempo perché sono attraversata da
pensieri che mi confondono…” Continuò a parlare con grande affetto e gratitudine di
tutti i medici che aveva incontrato e io l’ascoltavo con interesse crescente, catturata
da quel suo eloquio fluido, dal leggero accento toscano, dalla scelta accurata dei
termini con cui descriveva il suo malessere senza sminuirlo in alcun modo,
avvolgendolo piuttosto di un sottile velo di pudore. Poi dopo un momento di silenzio,
mi guardò intensamente e disse: “lei afferma di non essere credente, eppure sento
che ha fede”. Non so perché me lo dicesse, ma le fui grata per quell’ affermazione.
Era la quarta di cinque fratelli e veniva da una famiglia estremamente severa con un
padre freddo e distante e una madre che aveva amato gli altri figli assai più di lei,
perché era una bambina “ingovernabile”, capace di slanci improvvisi, ma anche di
atroci vendette quando veniva rimproverata o punita .L’unico ricordo tenero era legato
ad una vecchia zia i cui racconti avevano come unico soggetto bambini diventati
santi, da piccola aveva pregato per essere come loro. La scuola dalle suore era stato
un tormento, spesso veniva chiusa in una cantina senza finestre. Una sola volta aveva
ricevuto qualche apprezzamento, proprio quando si aspettava invece una punizione
ancora più severa: il giorno prima in occasione della visita del Papa all’Istituto – aveva
allora circa otto anni – anziché starsene ferma e buona in fila insieme alle altre, gli era
corsa dietro e mentre si allontanava gli aveva tirato la veste e lo aveva implorato di
pregare per lei perché potesse salvarsi. L’adolescenza era stata solitaria, tristissima, si
sentiva diversa dagli altri, non riusciva a trarre piacere dalla compagnia dei coetanei,
era spesso preda di acute crisi depressive. Si era innamorata appassionatamente di
uomini irraggiungibili, che ne avevano apprezzato il temperamento tumultuoso e la
fresca ingenuità, ma si erano ben guardati dal farsi coinvolgere in qualcosa di più di
un’affettuosa amicizia, nonostante le insistenze di lei che non aveva inibizioni o
remore convenzionali. Dopo ripetuti tentativi di suicidio, dai quali era sempre
miracolosamente scampata, aveva deciso che la volontà di Dio era che rimanesse in
vita e aveva smesso di provare.
Poco tempo dopo il nostro primo incontro fu nuovamente travolta da una crisi
depressiva acuta, dalla desolata contemplazione del suo fallimento vitale, ma
soprattutto dalla incapacità di pregare, “dal silenzio di Dio”. Cominciai a ripensare alla
necessità di un supporto psichiatrico, ma mi limitai a commentare che le “tortuosità”
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