“Un cuore in inverno”
Amedeo inesorabile torna a settembre.
Iniziamo una fase esplorativa.
Seduta dopo seduta ascolto limitando i miei interventi ad un puro accoglimento.
Ho la sensazione che stia gettando centinaia di pezzetti di sé e della sua vita
frantumata e frammentata sulla scrivania, sperando forse che il mio studio possa
diventare la cornice di un puzzle da ricomporre.
Il papà di Amedeo, da giovane, stava studiando in seminario, per abbracciare la
carriera ecclesiastica, quando incontrò una donna che di lì a nove mesi sarebbe
diventata la mamma di Amedeo. I due si sposarono. Entrambi non hanno mai
nascosto il loro disappunto e la loro scontentezza circa l’accaduto. Secondo la
ricostruzione di A., molto probabilmente, il padre, travolto da sensi di colpa di ogni
tipo e la madre, che forse sperava in qualche cosa di diverso, avrebbero fatto pagare
al figlio il loro “errore”.
Amedeo li descrive, infatti come punitivi nei suoi confronti. Dice di non essere mai
stato abbracciato, accudito o coccolato e che qualunque cosa lui facesse o dicesse
veniva criticata aspramente. Sovente era punito anche fisicamente, soprattutto dal
padre che utilizzava la cinghia dei pantaloni, quando andava bene, altrimenti oggetti
contundenti di vario genere e tipo.
Rimaneva chiuso nello sgabuzzino al buio per ore.
Segregato, A. ha imparato a cancellare la paura e a strutturare strategie di vendetta.
La madre era fredda e distaccata, lo affidava volentieri alla propria madre che A.
descrive come donna depressa e ritirata.
La descrizione di un’infanzia terrificante, è resa con lo stesso tono che si userebbe per
comunicare che: “Hanno cambiato la pavimentazione del cortile e durante i lavori, ho
avuto problemi di parcheggio”.
Ci vediamo due volte la settimana, lui arriva, si sdraia sul lettino e comincia il suo
racconto.
Lo percepisco come avvolto da una cortina impenetrabile sulla quale ogni mio timido
tentativo rimbalza senza pietà. Sento una strana sensazione di grigiore e di freddo
ogni volta che A. entra nella stanza ed è come se mi sentissi incapace di varcare la
soglia del suo isolamento.
Provo la spiacevole e frustrante sensazione che per lui sarebbe assolutamente uguale,
se al suo fianco ci fosse solo la mia “lampada”.
La comunicazione si snoda tra episodi del passato e del presente molto simili tra loro
per la totale assenza di tonalità affettiva o di minima capacità relazionale, come se
“l’altro” o il “resto nella sua interezza” non esistesse e non venisse riconosciuto.
Un giorno, A. annulla una seduta adducendo improvvisi impegni familiari.
Arriva all’incontro successivo puntuale. Si sdraia ed inizia il racconto di un articolo che
ha letto. Quando sta per finire il nostro tempo, aggiunge: “Mi scusi per la seduta
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