che, a causa delle pressioni traumatiche, sono maturati precocemente, e che, come
dice Ferenczi fanno pensare “…
a quei frutti che la beccata di un uccello ha fatto
maturare troppo in fretta e reso troppo dolci, o alla precoce maturazione di un frutto
bacato.”
(
1932
, pg.98). Come fa notare Soavi (1995) in un lavoro sull’idealizzazione,
alcuni di questi pazienti vivono la condizione di aver salvato i genitori dalle ferite
narcisistiche sulla loro genitorialità; egli cita il caso di Edipo che viene accolto nella
famiglia di Corinto come colui che ha salvato i genitori dalla sterilità, e si sofferma sul
ruolo avuto da questa idealizzazione nella “
insufficiente strutturazione
” del suo Sé. In
“Giuseppe e suoi fratelli”, Thomas Mann (1960), riprendendo i fatti narrati nel terzo
libro della Genesi, racconta come Giuseppe, in virtù della sua forte somiglianza con la
mamma morta, venga preferito dal padre che attribuirà a lui e non al figlio più grande,
a cui toccherebbe per tradizione, la sua primogenitura; i sogni di Giuseppe, in
particolare quello dei covoni che in circolo si inchinano davanti al suo che rimane
eretto, e quello in cui viene trascinato dall’aquila al cospetto di Dio, esprimono la
visione di sé come l’”
eletto”
della famiglia. E’ noto come tutto ciò scatenerà l’invidia e
l’odio dei suoi fratelli con quello che ne conseguirà.
Un altro aspetto della missione impossibile, è rappresentato da Alice che a differenza
degli esempi fatti, non si misura con l’idealizzazione di lei come figlia, ma al contrario,
con la conquista del riconoscimento, facendo qualcosa che tolga il malumore alla
mamma, qualcosa di elevato che scateni la sua approvazione; un tentativo in cui si è
ingaggiata da sempre, e che dopo ogni fallimento, la vede di nuovo riprovare,
riferendole di qualche risultato positivo ottenuto nella sua vita. La condizione prevista
per cui lei possa riappropriarsi della sua vita, senza sentirsi in colpa, è che anche la
mamma possa essere contenta, cosa finora mai successa. “La vita”, dice, “ è come
qualcosa che non mi è stato mai data veramente del tutto; allora, da una parte, la
vorrei restituire con rabbia, dall’altro, così facendo, mi sentirei sconfitta e persa”.
Cosa c’è al di là dello specchio: rigidità delle aspettative e mutuo riconoscimento
La vita di questi pazienti ruota intorno all’aspettativa, segreta, che l’altro con cui sono
in contatto, soddisfi il loro bisogno di conferma, tra “Lo specchio e la maschera”, come
titola un bel capitolo sul narcisismo, del libro di Bromberg (1983) sul trauma e la
dissociazione.
Si comportano in modo da farsi idealizzare, e l’altro è scelto sulla base
del suo bisogno di essere aiutato e guidato, ma senza stabilire un reale contatto
empatico con le sue esigenze, cosa che crea in loro notevoli sensi di colpa. Essi
mettono in campo tutte le loro doti di disponibilità e di intelligenza, e tutti i loro sforzi
sono utilizzati al mantenimento del contatto, da cui dipende la soluzione dei dubbi
sulla loro reale disponibilità, sulla loro dignità e sulle loro reali capacità.
La situazione
tende a ripetersi, perché nonostante l’accettazione e la conferma di essere ritenuti
degni, al venir meno del sostegno i dubbi si riformano, e sentono di “
dipendere
inesorabilmente dall’altro
” (Amadei, 2005), fino ad “
assumere la dipendenza come
una sorta di “destino”
“(
ibidem
, pg.104). Per la Benjamin, si tratta di un paradosso
per cui “…
proprio nel momento in cui realizziamo il nostro desiderio di indipendenza,
diventiamo dipendenti da qualcun altro che possa riconoscerlo
…” (1995, pg.28).
La dipendenza segreta dei pazienti da questo riconoscimento, viene “scoperchiata”,
allorché le persone scelte per questo rifornimento narcisistico, si affrancano e si